Il bisnonno era già pronto sul pianerottolo, con i cani. - Nonno, uscite anche stasera? – aveva sussurrato lei- Devo farlo – era stata la risposta semplice di Pietro. Per Riccardo era stata una cosa da niente. Aveva infilato la tuta da ginnastica sopra al pigiama, e tirato la porta a sé solo quando aveva sentito lo scatto del portone di sotto. Si era poi messo sulle tracce del bisnonno, facendo bene attenzione a non farsi sentire dai cani. La notte era strana e senza rumori. Pietro aveva percorso con sicurezza i viali che separavano la loro casa dalla stazione. Era entrato e aveva cominciato a costeggiare i binari, poi si era fermato vicino a un cartello, su cui stava scritto Tiburtina. Riccardo ora aveva freddo e tremava. Non aveva trovato il coraggio di uscire da sotto la pensilina della stazione. La nebbia era scesa all’improvviso, così fitta che non era riuscito più a vedere il bisnonno, anche se si trovava a pochi passi da lui. Si era guardato intorno. Tutto era diverso da come aveva visto pochi istanti prima. Era sparito l’acciaio nella nuova stazione, e anche i suoi vetri brillanti. C’erano invece panche di legno e un orologio vecchio e tondo. La pavimentazione adesso era grigia e sconnessa. Cominciò a sentire dei passi. Si avvicinavano, sempre più forti. Si mise con le spalle contro il muro scrostato, mentre il cuore gli pulsava forte in gola. I passi diventarono una cadenza ben definita, quella di centinaia di scarponi. Allora li vide. Soldati in uniforme nera, armati. Davano ordini in una strana lingua. Dietro di loro, una lunga fila di persone con una stella gialla attaccata al petto. Avevano volti pallidi e stupiti. Qualcuno guardava in terra, molti invece avevano lo sguardo perso nel vuoto.In pochi minuti, con urla secche, le persone furono fatte salire su treni di legno, che ripartirono subito dopo. Poi la nebbia si alzò di colpo e Riccardo vide Pietro che piangeva, con i pugni alzati al cielo. Il ragazzo tornò correndo a casa e si infilò a letto vestito, mentre anche quel 16 ottobre finiva. Finiva ogni giorno, per Pietro, ormai da settanta anni.Roberta Lepri
Il bisnonno era già pronto sul pianerottolo, con i cani. - Nonno, uscite anche stasera? – aveva sussurrato lei- Devo farlo – era stata la risposta semplice di Pietro. Per Riccardo era stata una cosa da niente. Aveva infilato la tuta da ginnastica sopra al pigiama, e tirato la porta a sé solo quando aveva sentito lo scatto del portone di sotto. Si era poi messo sulle tracce del bisnonno, facendo bene attenzione a non farsi sentire dai cani. La notte era strana e senza rumori. Pietro aveva percorso con sicurezza i viali che separavano la loro casa dalla stazione. Era entrato e aveva cominciato a costeggiare i binari, poi si era fermato vicino a un cartello, su cui stava scritto Tiburtina. Riccardo ora aveva freddo e tremava. Non aveva trovato il coraggio di uscire da sotto la pensilina della stazione. La nebbia era scesa all’improvviso, così fitta che non era riuscito più a vedere il bisnonno, anche se si trovava a pochi passi da lui. Si era guardato intorno. Tutto era diverso da come aveva visto pochi istanti prima. Era sparito l’acciaio nella nuova stazione, e anche i suoi vetri brillanti. C’erano invece panche di legno e un orologio vecchio e tondo. La pavimentazione adesso era grigia e sconnessa. Cominciò a sentire dei passi. Si avvicinavano, sempre più forti. Si mise con le spalle contro il muro scrostato, mentre il cuore gli pulsava forte in gola. I passi diventarono una cadenza ben definita, quella di centinaia di scarponi. Allora li vide. Soldati in uniforme nera, armati. Davano ordini in una strana lingua. Dietro di loro, una lunga fila di persone con una stella gialla attaccata al petto. Avevano volti pallidi e stupiti. Qualcuno guardava in terra, molti invece avevano lo sguardo perso nel vuoto.In pochi minuti, con urla secche, le persone furono fatte salire su treni di legno, che ripartirono subito dopo. Poi la nebbia si alzò di colpo e Riccardo vide Pietro che piangeva, con i pugni alzati al cielo. Il ragazzo tornò correndo a casa e si infilò a letto vestito, mentre anche quel 16 ottobre finiva. Finiva ogni giorno, per Pietro, ormai da settanta anni.Roberta Lepri
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