Alle medie vidi un film che, nel suo piccolo, mi segnò: era Il silenzio degli innocenti. Mi colpì soprattutto la figura di Hannibal Lecter, magistralmente interpretato dal grande Anthony Hopkins, che solo con uno sguardo seppe bloccarmi la crescita - ma dato che sono 185 centimetri non posso proprio lamentarmi. Col tempo andai poi a cercarmi pure i libri di Thomas Harris, divenendo un cultore della figura di questo particolare e sfaccettato personaggio. E devo dire che la sua figura mi ha seguito per molti anni, per quasi tutta l'adolescenza, andando leggermente a sfocarsi verso i vent'anni. Ovvio quindi che quando degli amici mi parlarono che una serie su di lui era in lavorazione, cominciai a diventare impaziente. E quando venni a sapere che l'avrebbe interpretata il mio ghei drim Mads Mikkelsen, il One Eye di Valhalla rising, allora sapevo già che l'avrei adorata a prescindere.
Will Graham è un profiler dell'FBI, così bravo da riuscire ad immedesimarsi in piena totalità con gli autori dei crimini sui quali deve investigare. Tale capacità mette a dura prova il suo equilibrio psichico, così viene affiancato dalla figura dello psichiatra Hannibal Lecter... peccato però che questa strana new entry nasconda qualche piccolo, sanguinolento segreto...
Già dai primi episodi, per chi ha letto i libri di Thomas Harris, è possibile cogliere qualche lieve strizzatina d'occhio che vi farà impazzire circa delle vicende accennate in Drago rosso e che qui vengono vagamente ampliate. Ma è proprio a tutti i fan che devo fare un discorsetto, che riguarda la coerenza con i fatti narrati su carta. No, la serie non è proprio coerentissima, e agisce sui personaggi come aveva fatto la Marvel con l'Universo Ultimate. Se ne rispettano le peculiarità principali, si esagera su alcune cose (tipo l'equilibrio mentale di Graham) e si inventano delle vicende create ex novo per il piccolo schermo che, devo ammettere, sono davvero molto efficaci. In questi ultimi anni la televisione sta cambiando, e sembra possedere molto più coraggio di quanto ne abbiano tuttora i film destinati al grande schermo. Ciò che nell'ultimo caso appare censurato o nascosto agli occhi dei più sensibili, sul tubo catodico (per chi, come il sottoscritto, ne ha ancora uno) compaiono con una prepotenza non indifferente. Tutto ciò si somma alle abilità di scrittore di Bryan Fuller, noto ai più per aver sceneggiato alcuni episodi di Star Trek (per la precisione, le serie Deep Space Nine e Voyager) e che qui dimostra una capacità di vertere verso il grandguignolesco non indifferente. Fra violoncelli impiantati nella carotide, ali ottenute scuoiando schiene, cravatte giamaicane e totem di resti umani, ce n'è davvero per tutti i gusti. Forse troppi gusti, e a lungo andare questo fa leggermente perdere la cognizione allo spettatore circa che cosa si sta guardando. Si prla di troppe cose, vengono tirati fuori troppi temi e solo la metà vengono portati a un totale e reale compimento, senza contare che in un paio di episodi il minutaggio è davvero mal contato, costringendo così gli autori a far chiudere il tutto in maniera abbastanza celere. Ma tutto, pur rischiando di diventare mal fatto, si mantiene sempre su una determinata linea, quindi pur non negandone degli eventuali difetti - e cadute di ritmo - quest show diventa uno spasso macabro senza precedenti. Gran parte del merito poi lo deve una regia davvero ben curata da David Slade nell'episodio pilota, che imposta così uno stile asettico che verrà ripreso per tutti i tredici episodi di questa prima stagione, facendoci ricordare cosa lo aveva reso grande con Hard Candy - e che ha largamente sputtanato ai quattro venti con Eclipse. A sorpesa vediamo anche la fotografia curata da Guillermo Navarro, già collaboratore di gentaglia come Del Toro, che prende le redini della regia di un paio di episodi, dimostrando di sapersela vagamente cavare con gli standard televisivi. Ma la vera carta vincente sono gli attori, a cominciare da quel gran fregnone attorone che è Mads Mikkelsen (il Tonny di Pusher II o l'One-eye di Valhalla rising, per dire), un attore così bravo che solo con un cenno delle labbra riesce a trasmettere tutta la negatività, la malattia e il marciume di un personaggio simile. E sì, è riuscito persino a farmi mettere da parte la secolare interpretazione di Anthony Hopkins. Buoni anche tutti gli altri attori, da Hugh Dancy a Laurence mamma-mia-sono-lontani-i-tempi-di-Matrix Fishbourne, un cast ben affiatato e di tutto rispetto.