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“Hanno amore” di Gianluca Chierici – recensione di E.Matarrese

Creato il 07 ottobre 2010 da Viadellebelledonne

“Hanno amore” di Gianluca Chierici – recensione di E.Matarrese 

“Mestlez, mestlez”
“Qui ebbe inizio per me quello che chiamerò il dilagare del sogno nella vita reale…Tutto assumeva un aspetto duplice, e senza che il ragionamento mancasse di logica…”
 
[Gérard de Nerval]
 
Queste le prime parole, la citazione che apre “Hanno amore” di Gianluca Chierici, autore milanese del 1977 già al suo attivo con diverse pubblicazioni, anche di poesia. Un’intro che nasconde in nuce un’atroce complessità di cui abbiamo dimenticato le origini ed i trascorsi, mitigata in parte dalla seconda citazione:
 
“Quando ci si affaccia all’Amore, ci sembra come se ci ampliassimo” 
[Guy de Maupassant].
 
Il sogno che abbiamo dimenticato e che era realtà e oggi solo pochi percepiscono, e in modo onirico (“i sogni sono degli angeli cattivi e bisogna ucciderli prima che prendano possesso del nostro corpo [...] una volta che muoiono dentro di noi e li scordiamo, allora faranno parte per sempre del nostro insconscio”), è la storia di colei che nel libro di Chierici viene chiamata Diana.

 
Il romanzo apparentemente è un Bildungsroman al contrario, di un uomo adulto che ripercorre il proprio passato tramite il proprio inconscio, i sogni, i ricordi. E come un sogno tutte le immagini sembrano essere in bianco e nero, sfocate all’occhio, irraggiungibili da toccare con mano.
 
Chierici è un autore sinestetico, riporta in vita da questo grigiore armi olfattive (il profumo di fiori freschi, …), chiaroscuri (il vento sulla superficie dell’acqua, la luna tra i tronchi, i corpi luminosi, …), l’udito (la nenia primitiva, gli ululati, …).
 
Ma l’uomo che ripercorre il proprio cammino all’inverso alla ricerca di una verità che gli è stata negata riuscirà a raggiungere l’ambita meta? 
L’uomo è un bambino, ma è anche un cervo consacrato alla dea, e “in fondo all’uomo c’è una donna, e in fondo alla donna c’è un uomo”, e l’uomo “ha tre volti mentre diventa di luce, bambino, uomo e vecchio, e nudo”.I personaggi sono solo apparentemente tre, e ritorna il numero tipico della dea, da loro “dipendono” e si snodano tutta una serie di eventi arcani, labili, che sembrano frutto dell’immaginazione e al contempo trovano riscontro della realtà. Ma il filo logico non si perde, retto com’è da piccoli colpi di scena (fino a quello finale) che sembrano cadenze rituali. Mi è parso un libro musicale (e lo si ammette: “il suono mi perseguitava come una seconda coscienza”), anche: ha un ritmo sotteso che rallenta in concomitanza della figura umana, e si fa veloce man mano che i dialoghi si rarefanno e l’ego scompare, ed esiste solo il confine labile tra vita e morte, e l’infinito.
 
L’acqua che scorre sotterranea porta messaggi subliminali, che tutti abbiamo dentro ma che abbiamo disimparato. Un’atmosfera che già conosciamo, atavica, ma non riusciamo ad afferrare, è nascosta tra le righe e riporta l’inconscio a galla, e ne fa parola, e verità (ad esempio “Gli alberi ci fanno dono della vita …non puoi ignorare quanto siano importanti nella nostra sopravvivenza. La gente di città ha disimparato a sentire le voci degli alberi, tu impara a rispettare i rituali della natura”).Le sigarette, il cinema, gli psicologi, le cliniche, la polizia, nulla possono: l’uomo moderno ha i sintomi della paura per quel “sovrapporsi di due sensazioni antagoniste che lottano tra loro come sorelle”. Ma “il bianco sogno di mattino portava con sé tutte le ansie della memoria”.
 
“Il viaggio, per quanto breve, fu un ritorno alle origini”.
 
E se in questo viaggio gli uomini hanno amore, così arriveranno senza paura, e la memoria del so(g)no più antico non potrà più abbandonarli. E l’uomo sarà libero da ogni pregiudizio, dopo aver attraversato il buio, trovando la luce di quanto ha stupidamente abbandonato.



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