Al ritorno pubblicò il romanzo "L'Improvvisatore" (1835), in cui più della trama e delle figure valgono le calde descrizione di paesaggi e monumenti d'Italia. Nel suo animo frattanto, era maturato il poeta. Egli si convinse d'esser più portato al racconto ed alla fiaba che al teatro, tuttavia, in quel periodo, compose due drammi che furono giudicati favorevolmente dalla critica, "La nuova camere per il neonato" e "Il mulatto".
Dal 1835 sino al 1872 scrisse le sue umane e meravigliose fiabe. La sua vera natura di poeta sbocciò come d'improvviso, viva, brillante, pura e limpida quale acqua di fonte e qui appunto, nelle sue fiabe, sta tutta la grandezza della sua opera. Egli è il poeta dell'ingenuità e parla ai suoi lettori come si parla ai fanciulli. Nella sua mente si anima l'inanimato, e le cose più incredibili sono narrate con la semplicità di un bambino, la sua fantasia si compiace di salti meravigliosi, eppure tutto appare reale e vero cosicchè si ride e si piange con lui. Le sue fiabe tengono un posto intermedio tra l'epigramma e l'inno. Egli disdegna di cercare gli effetti col romaticismo del passato.
Proprio nelle fiabe egli si riattacca immediatamente al presente; egli possiede il dono di dar corpo e vita anche alle più bizzarre invenzioni della fantasia. Gli elementi tradizionali popolareschi si intrecciano con nuovi spunti ed invenzioni e il fantastico acquista plasticità suggestiva e risalto grazie al realismo in una fusione così originale e artisticamente compiuta che da varie generazioni queste fiabe rinnovano in fanciulli e adulti di tutto il mondo il loro incanto.
Nel complesso della sua produzione è sempre presente uno sfondo profondamente didascalico e moraleggiante. Sempre viva è l'esortazione a vincere le forze del male con l'arma del bene, con l'agire bene, con il voler bene al prossimo. E' una continua esortazione a combattere l'ingiustiza e l'iniquità. Certamente nei suoi libri egli rifuse alquanto della sua anima che, dalla morte del padre sino all'incontro con Siboni, aveva duramente sofferto. Incompreso, solo, abbandonato, imparò a sue spese ciò che si deve intendere per sofferenza fisica e morale. Apprese anche a sopportare con rassegnazione, a comprendere gli umili ed i buoni, a perdonare i cattivi ed a volere, soprattutto, bene.
Fu un'esperienza tremenda, ma comunque importante tanto da influenzare tutta la sua attività susseguente di scrittore. Le sue fiabe, infatti, risentono d'un tale stato d'animo; riflettono le sofferenze del passato e sono, appunto, piene d'umanità, d'amore, di comprensione per i diseredati, gli umili, per chi soffre. Molte sono improntate a profondi sentimenti umanitari ed hanno frequenti richiami autobiografici come "La fiaba della mia vita" che pubblicò nel 1847.
<=Hans Christian Andersen
=> Hans Christian Andersen...un mondo di fiabe