“Happy Days Motel”, debutto alla regia di Francesca Staasch – recensione di Irene Gianeselli

Creato il 09 maggio 2013 da Alessiamocci

Attenzione, sono presenti degli Spoiler.  “Happy Days Motel” di Francesca Staasch è sicuramente un progetto particolare: sembra di essere a teatro, aspettando un Godot che arriva, atteso da sempre!

Tutti i personaggi sono accomunati da un sentimento di insoddisfazione: il mondo capitalista, spietato, che parla a Balti attraverso una voce registrata o nascondendosi dietro pigolanti segretarie tutte uguali, sembra aver approfittato del “bisogno”, della “necessità di esistere” dei personaggi e proprio Balti credo rappresenti quelli di noi che vorrebbero ribellarsi, ma sono costretti a chinare la testa e a compiere viaggi di mente e di fatto che li portano lontani o, in questo caso, più vicini a se stessi.

Balti, il primo personaggio che ci viene presentato, si svela a poco a poco come un uomo tenero, attento agli altri, profondamente tradito, intristito da un mondo che si muove anche quando sembra immobile.

Il viaggio inaspettato è come sempre un ottimo modo per sfuggire agli altri che ci sono ma non si vedono, che presumono di conoscerci e che decidono per noi.

Un Ulisse moderno, a cui viene risparmiato l’incontro col ciclope, che non teme sirene, né maghe su isole lontane, forse perché, a differenza dei personaggi che incontrerà, parte per tornare a casa dalla sua bambina che sembra confermargli quanto i rapporti umani siano complessi, persino quando si tratta di rapporti tra bambini. Un personaggio positivo, Balti, il Godot che si aspettava e che finalmente è arrivato.

Poi ci sono Lupo e Candy. Altri delusi, altri traditi che finiscono per tradire se stessi: lui, deviato da quel mondo che gli ha messo addosso la maschera del sorridente uomo dei biscotti, ora dipende dalla droga e non riesce ad amare, credendo che picchiare chi cerca di ricordargli il ruolo che gli imponeva la pubblicità basti a cancellare il ricordo stesso di quella finzione.

Lupo si racconta senza pudore, con crudezza: non è ciò che appariva, non è ciò che è adesso, non sa ciò che vuole essere. Lei, Candy, sembra lasciarsi schiacciare dal suo bisogno di amore, amore che ha a sua volta bisogno di due pesci rossi per essere celebrato.

A questo punto arriva Dustin. Insolito, eppure così straordinariamente ordinario: cura la rassegnazione degli altri, ma non cura se stesso.

Perfino il desiderio diventa una astrazione, una malattia delle coscienze che non riescono ad esprimersi, una malattia che ben “dosata” cura le sue stesse piaghe.

È con Dustin che si comprende quanto questa commedia sia drammaticamente molto simile alla realtà di oggi: siamo tutti in crisi, ma la maggior parte di noi non vuole uscirne, la maggior parte di noi preferirebbe annullarsi o aspettare che qualcun altro li perdoni per ciò che hanno fatto o vorrebbero aver fatto o più semplicemente non fanno. Vivere.

Nessuno di loro vive davvero, perfino Laura cerca di far sembrare tutto perfetto, al posto giusto nel modo giusto anche se per la morte della figlia probabilmente sente dentro deserto e sofferenza: questo stesso deserto, che dovrebbe essere “vuoto”, è invece composto da miliardi di granelli di spessa sabbia, contribuisce ancora una volta a darci un senso di satura pienezza.

Vite, queste, che rifiutano ormai l’esasperazione dell’esasperazione, ma che non sanno se vogliono davvero uscire dal motel costruito sulle loro insicurezze, sulle solitudini, sulla ricerca di un volto amico per sfuggire al nemico che è dentro e tutt’attorno.

Un finale liberatorio, in un giorno che segna il passaggio verso futuri “happy days”: ciascuno realizza ciò che profondamente desidera, ciascuno ottiene ciò che ha meritato, nolenti e dolenti tutti devono agire, l’attesa è finita: Godot era con loro dall’inizio, erano Godot anche loro come e più di Balti che è nel coro e allo stesso tempo ne è fuori.

Ho apprezzato la musica che contribuisce a rendere l’idea della “stabile instabilità” in cui si trovano i personaggi, discreta eppure fortemente presente.

Tutto sembra dirci che il dramma non c’è, che la crisi non c’è e che ancora una volta dipende da noi, solo e soltanto da noi che dovremmo avere sempre più spesso il coraggio che hanno le piccole tartarughe che Balti ha abbandonato chiuse negli enigmatici bauletti nella stagnate acqua della piscina dismessa del motel: Signore e Signori, uscite dalle vostre meschine prigioni, dalle prigioni che vi hanno costruito addosso o che voi stessi avete costruito mattone dopo mattone.

Finché il cielo starà sopra la vostra testa e la terra sotto i vostri piedi… andate e viaggiate, vivete!”

Written by Irene Gianeselli

La redazione Oubliette informa che il film “Happy Days Motel” sarà online in visione gratuita sul sito Cubovision sino al 15 giugno 2013,

clicca QUI per vederlo!


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