In un periodo in cui i titoli interessanti sembrano latitare, non potevamo di certo perderci l'occasione per vedere (non in 3D perchè mi da fastidio) il film conclusivo della saga di Harry Potter. Ebbene sì, lo ammettiamo, siamo fanatici della prima ora del maghetto con la cicatrice e gli occhiali, di cui abbiamo atteso ed avidamente divorato i vari capitoli in libreria, prima ancora che su pellicola. Tuttavia, sarebbe ingiusto lasciar prevalere il punto di vista del fan su quello dello spettatore che paga il biglietto, e tenteremo di attenerci a questo principio.La trama segue la seconda parte del capitolo conclusivo, laddove si tirano le fila e tutte le trame (e le innumerevoli sotto-trame) trovano la loro conclusione. In questo senso si può ammettere che il regista (Peter Yates, inglese e già autore di alcuni dei capitoli precedenti) dia per scontata una certa conoscenza "di base" del contesto e dei personaggi. Harry (Daniel Radcliffe, cui auguriamo di sottrarsi alla "maledizione del personaggio") ed i suoi amici Hermione (Emma Watson, più passano i film e più la sua capigliatura si fa normale) e Ron (Rupert Grint, toccante in In viaggio con Evie) sono alla disperata ricerca degli "horcrux", gli oggetti magici in cui il perfido Lord Voldemort (Ralph Fiennes, irriconoscibile sotto al trucco) ha riposto i frammenti della propria anima nel tentativo di rendersi immortale. Nel frattempo Voldemort ha instaurato nel mondo un vero e proprio regime di stampo nazista, basato sulla purezza della razza (i maghi sono la razza eletta) e sulla manipolazione delle coscienze; i tre eroi, dunque, oltre alla difficoltà del compito sperimentano anche quella del muoversi in un ambiente sempre ostile e pericoloso. Dopo diverse peripezie i protagonisti torneranno ad Hogwarts, la scuola dei maghi dove si svolge la maggior parte della saga. Lì avverrà la battaglia finale fra le forze del bene e quelle del male (bellissime le scene con le statue di pietra che prendono vita per salvare la scuola e lottano contro giganteschi troll di montagna). Lì verranno chiusi tutti i conti e Harry affronterà Voldemort in un duello al quale solo uno dei due potrà sopravvivere.
E' veramente complicato ridurre una cosmogonia di migliaia di pagine in poche parole, ma lo è altrettanto il farlo per immagini. Il film sceglie dunque di operare alcuni tagli e semplificazioni, restando però piuttosto fedele al testo originale, nella lettera e - soprattutto - nello spirito. Alla fine la figura più difficile è quella di Harry, il cui problematico mondo interiore viene minuziosamente scandagliato nei libri e lasciato invece abbondantemente all'intuizione dello spettatore nel film. Il risultato è un personaggio un po' isterico e a volte sinceramente antipatico. Anche il rapporto amoroso con Ginny Weasley (Bonnie Wright) viene quasi completamente ignorato.
La scenografia è, come da tradizione, basata su elementi gotici e vittoriani nel mondo dei maghi e contemporanei in quello dei "babbani". Qualche dettaglio in più all'interno di Hogwarts (ci pare di ricordare che le fantasmagoriche scale in movimento siano state realizzate solo nel primo capitolo) avrebbe potuto donare un appropriato senso di sorpresa di fronte alla magia.
I costumi non sono particolarmente interessanti, ci è sempre parsa una occasione persa quella di scegliere di non rappresentare i maghi con vestiti eccentrici, che avrebbero dato un tocco in più di humour, oltre che sottolineare la differenza di approccio a cosa è importante rispetto ai "babbani".
Fra gli interpreti, menzione d'onore ad Alan Rickman per un Severus Piton ambiguo fino alla fine, caratterizzato da un'aspetto simile in modo inquietante (per la gioia degli spettatori italiani) ad un Renato Zero in salsa celtica.
Fra le scene degne di nota, quella all'interno della banca Gringott, che ad alcuni è parsa una citazione di "Mary Poppins" e quella della battaglia di Hogwarts, comprensibilmente accostata ad alcune scene del "Signore degli anelli". A noi invece il duello tra Harry e Voldemort ha ricordato quello tra Luke Skywalker e l'imperatore di "Guerre stellari", ma senza l'aspetto seduttivo del "lato oscuro" che a Voldemort manca completamente, preso com'è dalla propria furia omicida.
Un aspetto che abbiamo sempre considerato interessante è come in Harry Potter i ragazzi siano veri protagonisti, fautori del proprio destino, gli adulti sono lì per guidare, aiutare, a volte ingannare, mai sostituire i giovani. Mano a mano che da ragazzi si fanno adulti vengono chiamati a fare delle scelte ed a sopportarne le conseguenze. Emblematica la figura di Neville Paciok, giovane mago pasticcione spesso deriso sia dai compagni che dagli avversari, che posto di fronte alla difficile scelta fra il bene ed il male (non è filosofia, la scelta implica la vita o la morte immediata) butta il cuore oltre l'ostacolo - unico fra tutti - e sceglie il bene "a prescindere", sfidando il trionfante Voldemort in modo - in apparenza - insensato.E' spesso un mondo senza pietà quello di JK Rowling, in cui i buoni muoiono come e più dei cattivi, e nemmeno all'adolescenza è concessa un po' di irresponsabilità. Ma non è forse uno specchio fedele del mondo reale, anche se non è piacevole ammetterlo? Hary Potter è nato, e rimane, un racconto per ragazzi e di ragazzi, in cui il "restare giovani dentro" fa la differenza e cosa più dell'amore ci fa restare giovani? Harry da bambino viene salvato dall'amore di sua madre, più forte della peggiore magia oscura, una volta cresciuto combatte a ben vedere usando lo stesso - invincibile - incanto, che voi-sapete-chi non potrà mai comprendere: la gratuità dell'amore che non si mette al primo posto.
Ricorrendo a questa magia, che anche a noi babbani è concesso sperimentare in mille forme ogni giorno, qualunque cosa succeda...la fine potrebbe mai essere una brutta fine?