Haruko chōjō genshō kenkyūjo (春子超常現象研究所, Haruko's Paranormal Laboratory). Regia, soggetto e sceneggiatura: Lisa Takeba. Fotografia: Shu G. Momose. Montaggio: Nishimura Yoshihiro. Musica: Fujinaga Kentarō. Personaggi e interpreti: Nakamura Aoi (Terebi), Nozaki Moeka (Haruko), Aoki Sakaya (la collega di Haruko), Brother Tom (poliziotto), Saito Takumi (ragazzo hikikomori), Takahashi Yumiko (madre di Haruko), Kohinata Fumiyo (padre di Haruko). Produttori: Satoshi Ono, Takeba Risa. Durata: 76 minuti. World premiere: Rotterdam Film Festival, 25 gennaio 2015
«Guardatelo come se fosse un fumetto: sarà più divertente»: queste le parole di Risa Takeba per presentare il proprio film, in concorso per i Tiger Awards al 44esimo International Film Festival di Rotterdam.
A conferma dell’approccio, subito dopo la sua eroina un po’ naïf esordiva sullo schermo dichiarando: «Questa è la storia d’amore tra me e la mia TV».
Haruko è una ragazza tranquilla che un giorno si arrabbia con la propria vecchia TV, la quale però, inaspettatamente, comincia a risponderle. Poi si trasforma in un ragazzo attraente e Haruko si innamora di lui. La storia romantica tra i due si dipana in un susseguirsi di colorate immagini pop: Haruko è convinta di avere poteri paranormali (la “creatura” da lei evocata ne sarebbe la prova), vorrebbe che Terebi (TV) rimanesse a casa, ma lui si avventura nel mondo e, affascinante com’è nonostante la testa a forma di TV, e per giunta con talento da vendere (parla dodici lingue, suona, canta), viene subito fagocitato dallo show business. Haruko riuscirà infine a riconquistare il suo uomo-TV, e anche a sposarlo, ma il finale ha un sapore amarognolo…
Risa Takeba, al suo secondo lungometraggio dopo Samayou koyubi (The Pinkie, 2014), vuole divertire il suo pubblico e, a tratti, ci riesce. Il mondo di Haruko è popolato di personaggi fumettistici, dalla collega assatanata al vicino voyeur, protagonisti di scenette spassose. La vicenda è certamente surreale e grottesca – ispirata, come dichiara la regista, da una zia che chiacchierava con il proprio televisore -, ma è anche il modo per parlare di solitudine e isolamento (di Haruko stessa, del fratello hikikomori, che vive rintanato nella sua stanza per uscirne solo travestito da cosplay, con una maschera a celarne il volto), e di famiglia.
Quest’ultimo tema, con particolare riguardo alla famiglia disfunzionale, è ricorrente nella cinematografia giapponese contemporanea (si pensi a Sono Sion, per fare un solo esempio fra tanti): Lisa Takeba costruisce un personaggio che fin da subito manifesta una conflittualità, ma allo stesso tempo una forte esigenza di riconoscersi nel nucleo famigliare. Haruko sospetta che il padre abbia tradito la madre, che ora non c’è più, ha un fratello che si è rinchiuso nella propria stanza ed in se stesso; però ricerca il legame solido, quello che la porterà al matrimonio.
Terebi è un diverso, a tutti gli effetti, posto che ha il fisico di un bel ragazzo e la testa a forma di televisore. Il suo percorso di avvicinamento al mondo degli umani e il successivo cedimento alla fascinazione del “palcoscenico” e del pubblico adorante, mi ha ricordato quanto avviene alla creatura in Frankenstein Junior (1974) di Mel Brooks: là era un teatro nel quale esibirsi cantando e ballando, qui è il mondo dei programmi televisivi e anche della radio…
Per entrambe le creature il successo non porterà granché di buono: anche Terebi si sente a disagio e trova rifugio presso un gruppo di “diversi” capeggiato da un nano.
Il rapporto della ragazza con l’amante-TV è sintetizzato da una frase di Haruko: «Gli oggetti non ti tradiscono». La regista conferma di essere stata ispirata, nel creare la sua storia, dal recente rapido sviluppo dell’intelligenza artificiale: in un mondo di umani problematici, oggetti con sentimenti sembrano rappresentare un porto sicuro. Anche se poi - come non ricordare la bambola Nozomi in Kūki ningyō (Air Doll, 2009) di Koreeda Hirokazu - il rischio di cadere nella conflittualità di emozioni difficili da gestire, è dietro l’angolo.
Degni di nota i costumi stravaganti creati da Sakabe Mikio.
Il finale è per una Haruko che parrebbe essere uscita più matura dall’esperienza vissuta: getta via l’insegna del proprio “Laboratorio Paranormale”, forse per iniziare ad affrontare le sue paure tutte umane senza nascondersi dietro ipotetici altri mondi.
Terebi è tornato ad essere la vecchia TV di casa: tutto è bene ciò che finisce bene, anche nei fumetti.
O no? [Claudia Bertolè]