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Hatsune Miku: il fenomeno musicale che ha stregato il Giappone è un ologramma

Creato il 14 dicembre 2014 da Retrò Online Magazine @retr_online

Un teatro ricolmo di fans che agitano in aria starlight colorati e urlano a squarciagola non appena le luci in sala si spengono.
Sembrerebbe l’inizio di un qualsiasi concerto pop, ma quando la band sale sul palco si capisce che non è così. Lì al centro, tra bassista, batterista, chitarrista e tastierista, al posto di un cantante in carne e ossa c’è un ologramma con un microfono in mano. Il suo nome è Hatsune Miku e, se agli occhi della cultura occidentale e in particolare europea può sembrare un’invenzione strampalata e bizzarra, in Giappone è ormai da anni un fenomeno culturale entusiasmante.

Hatsune viene lanciata il 31 agosto 2007 e nasce come personaggio della seconda generazione di Vocaloid.
Vocaloid è un software creato da Yamaha in grado di sintetizzare una voce partendo da un testo e da una melodia. A ogni nota viene associata una sillaba e in questo modo viene creata una canzone in assenza di un cantante in carne e ossa, affidandosi esclusivamente ai mezzi elettronici. La voce che viene campionata è comunque una voce umana, nel caso di Hatsune Miku quella della doppiatrice giapponese Saki Fujita.
Nonostante il software sia Yamaha, è stata Crypton Future Media a sviluppare Hatsune, creandole una biografia (una ragazza androide proveniente da un mondo dove le canzoni sono andate perdute) e permettendole di esplodere in breve tempo facendola diventare un personaggio di spicco nella variegata e talvolta grottesca scena della musica e dello spettacolo giapponese.

Le canzoni cantate da Hatsune sono scritte direttamente dai fans. In archivio pare ce ne siano già 100.000, una cifra enorme che rende bene l’idea della popolarità del personaggio. Pochi mesi dopo la “nascita” della cantante, ha iniziato a essere pubblicato un manga in cui lei è la protagonista, Maker Hikōshiki Hatsune Mix, a opera dello stesso designer che l’ha creata. In seguito sono usciti due videogiochi a lei dedicati.
I concerti della cantante sono affollatissimi e negli ultimi tempi si sono tenuti anche al di fuori dei confini giapponesi, in particolare a Los Angeles e a New York, dove Hatsune Miku è stata accolta con un calore che non ci si aspettava: data la singolarità del personaggio, il timore era che esso potesse funzionare esclusivamente in patria, nell’ambito di una cultura particolare che vede la nascita di fenomeni simili come una naturale conseguenza del contatto tra immaginario manga e sviluppo tecnologico. I dubbi iniziali sono stati smentiti e a inizio ottobre Hastune Miku è stata ospite al David Letterman Show, vetrina di prim’ordine per il contatto con il pubblico americano, dove si è esibita con il brano Sharing the world. In precedenza aveva aperto alcuni concerti di Lady Gaga, raggiungendo in questo modo una grossa fetta di pubblico che, in molti casi, si è poi presentato  anche durante le sue successive esibizioni da solista.

Hatsune Miku

Photo credit: Corsica_JP / Foter / CC BY

Per quanto Hatsune Miku possa essere popolare negli USA, la fama conquistata in Giappone rasenta addirittura l’isteria di massa. In patria, Hatsune è definita “idol” (in giapponese aidoru, che è anche il titolo di un romanzo di William Gibson in cui figura tra i protagonisti una cantante virtuale), termine che spesso viene erroneamente banalizzato con l’italiano “idolo”, che non riesce a rendere appieno le sfumature della parola originale.
Un aidoru è un personaggio, solitamente in carne e ossa e in età adolescenziale, che acquisisce una grande fama nel mondo dello spettacolo e che per la sua immagine pura e “kawaii” viene percepito come un modello da seguire. Gli aidoru non sono considerati veri cantanti, veri musicisti o veri attori, ma vengono concepiti come una categoria a parte che ha come funzione principale quella di incarnare tutta una serie di qualità positive che devono essere imitate dai giovani giapponesi. Ciò non toglie, però, che normalmente essi abbiano anche un forte sex appeal capace di ammaliare anche il pubblico più adulto che ne allarga notevolmente il target di riferimento.

La questione Hatsune Miku, però, è più profonda e complessa di quanto si potrebbe pensare immaginando la cantante come l’ennesimo personaggio simil-anime esportato dalla terra nipponica. In un lungo articolo di Lindsay Zoladz apparso sul New York Magazine un mese fa, Tara Knight, professoressa all’Università di San Diego che sta preparando un documentario sull’argomento, vede Hatsune Miku come un fenomeno anti-gerarchico e innovativo. Il suo punto di forza risiede nell’essere un personaggio al cui sviluppo i fans possono contribuire e che può permettere anche a chi non ha un grande talento canoro di mettere in musica la propria canzone (e non solo: è possibile prendere parte anche alla realizzazione di video musicali e alla coreografia dell’artista). Hatsune Miku rende gli spettatori partecipi dello stesso spettacolo al quale assisteranno e questo è qualcosa di lontano da qualsiasi altra esperienza musicale. Il fatto stesso che ai suoi concerti ognuno riceva una bacchetta starlight da sventolare in aria durante l’esibizione rende l’idea di quanto Hatsune Miku sia un’esperienza collettiva e totalizzante. Meglio tenere conto di tutti questi fattori, prima di giudicare il fenomeno l’ennesima stramberia giapponese.

QUI potete consultare la pagina wikipedia di Hatsune Miku.

Tags:aidoru,crypton future media,giappone,hatsune miku,idol,musica,ologramma,spettacolo,vocaloid,yamaha

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