Hayao miyazaki: il maestro dell'animazione

Creato il 09 novembre 2012 da Bagaidecomm @BagaideComm
L’argomento di oggi è il cinema d’animazione. Il tema è delicato perché sottovalutato dal grande pubblico che lo associa generalmente con l’intrattenimento per i più piccoli; ma di sicuro non possono essere classificate come fiabe per bambini le opere di Hayao Miyazaki. Premio Oscar nel 2003 e Leone d’Oro alla carriera nel 2005, il sensei Miyazaki iniziò la sua carriera con le serie animate, tra cui la più famosa, quanto meno per il pubblico italiano, è Lupin III, in particolare la prima serie(riconoscibile per la giacca verde del protagonista). Rispetto al manga originario, la versione animata fu profondamente caratterizzata dalla regia, che si ispirò soprattutto ai romanzi di Maurice Leblance sull’originario Arsène Lupin modificando in parte il personaggio, rendendo le trame più intelligenti e meno violente; un cambiamento in parte anche visivo come la decisione di Miyazaki di far guidare al ladro la Fiat 500 di cui lui era appassionato, al posto della Mercedes Benz SSK dell’originale. L’esperienza culmina con la realizzazione del primo film del ladro gentiluomo “Lupin III – Il Castello di Cagliostro”, ambientato in uno stato immaginario dell’Europa che ricorda in parte i laghi alpini, ma anche la campagna inglese e i castelli della Baviera: un elemento comune dei film di Miyazaki è infatti la capacità di creare ambientazioni nuove ma al contempo realistiche e interessanti (nonché meravigliose per la cura dei dettagli), unendo elementi eterogenei tra loro. In un certo senso questo lavoro sincretico è possibile solo perché fatto da uno “straniero”, che guarda all’Occidente come ad un corpo unico, composto sì da una pluralità di ambienti (sia naturali che artificiali), ma tra loro appartenenti ad una sola cultura. Specularmente, ad un vecchio continente letto da un punto di vista orientale, il Giappone viene descritto nel suo rapporto con l’occidentalizzazione, accelerata dall’occupazione americana del dopoguerra, e vissuta in pieno dal maestro: un esempio è “La città incantata”, premiato con l’Academy Award, dove si vede un netto contrasto tra il mondo normale, il Giappone moderno, e la città popolata da streghe e spiriti della tradizione in cui viene catapultata la protagonista. Ma la vera peculiarità della produzione di Hayao Miyazaki, e forse il vero motivo per cui è così seguito sia in patria che all’estero, è l’imprevedibilità degli elementi della narrazione. Mentre, in generale, ci si aspetta che una storia segua lo schema: inizio, cambiamento, climax, risoluzione, non è detto che i racconti dello studio Ghibli (lo studio di animazione fondato dal regista) abbiano questa stessa trama. Allo stesso modo il lieto fine non è sempre assicurato, gli sviluppi mai scontati e i rapporti tra i personaggi non sono inquadrati nelle categorie convenzionali: non esiste per esempio una netta distinzione tra bene e male, l’antagonista non rimane tale per tutto il tempo della narrazione. Un mosaico complesso, che tiene lo spettatore incollato allo schermo, desideroso di scoprire come continua la storia, proprio come si sentivano i realizzatori durante la produzione, visto che Miyazaki spesso e volentieri lavora senza una sceneggiatura completa, immaginando volta per volta cosa accadrà nel racconto. Intrecci inaspettati, ambienti fantastici, chiavi di lettura molteplici sono i punti forti degli anime del maestro Miyazaki. 
 Jacopo Borghi

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