He is my Dream

Creato il 18 ottobre 2011 da Queenseptienna @queenseptienna

Jackie Ross non stava nella pelle, continuava a saltellare come una quattordicenne al suo primo concerto rock, agitandosi e gridando quando la situazione lo richiedeva.
Era eccitata, al settimo cielo, quello era il suo quinto concerto dei 30 Seconds to Mars, aveva trascinato con sé anche Bree, Manny e Therese pur di non essere sola in mezzo a quella congrega di teen-ager scalmanate che sbavavano e alzavano fotocamere in direzione del palco. D’accordo che anche lei aveva il suo fedele Samsung per imprimere nella memoria ogni momento saliente, ma confondersi con quelle ragazzine le sembrava un po’ eccessivo.
Ormai aveva ventitre anni suonati, se la cavava facendo ogni tanto qualche set fotografico per alcune riviste di abiti e trovando lavoretti part-time a destra e a manca, sopravviveva e metteva da parte i soldi per diventare in futuro una cantante di successo, anche lei un giorno avrebbe calcato quello stesso palco, e magari in compagnia del suo futuro marito.
Jared Leto.
Dio. Jared Leto, il mito. Bello come una divinità, con quel suo fisico accecante sempre in bella mostra con quelle magliette inesistenti, gli addominali contratti, i pettorali tesi, quelle braccia da mordere, sode e accattivanti, quei fianchi chiari che facevano nascere pensieri impuri, quel sedere perfetto e tondo, le sue gambe da atleta, il suo sorriso da mille e una notte. Lo adorava. Lo amava.
Si era innamorata di una rockstar. Non le importava quando qualcuno le diceva che lui non sapeva nemmeno della sua esistenza, non le importava che tutti ormai si mettessero a ridere quando ne parlava, non le importava che persino quelle stesse amiche che aveva di fianco pensassero che fosse fissata, non importava niente perché lui era lì, a sgolarsi, ululare, saltare e sorridere da una parte all’altra, ad ogni passo un fragore collettivo che scoppiava come un fuoco d’artificio, ad ogni frase tutto il pubblico che ripeteva le stesse identiche parole all’unisono con la sua voce adrenalinica.
Jackie sudava, si sarebbe messa a piangere quando non era stata scelta da bodyguard per salire sul palco alla canzone Closer to the Edge, aveva perso l’occasione di poter vedere la schiena di Jared da vicinissimo e forse persino toccarla, forse addirittura l’avrebbe presa per mano e le avrebbe fatto cantare una strofa, lei e lui, l’una accanto all’altro, in un bellissimo duetto da sogno.
Ma aveva trattenuto le lacrime, anche perché non ne valeva la pena. Lui era così dannatamente bello, estasiante, le faceva battere il cuore fortissimo, beveva ogni suo movimento come ossigeno, il suo dio era lì con degli sfavillanti capelli platino e quei suoi occhi azzurri come il mare terso, perfetto, radioso.
Quinto concerto, quinta volta che non riusciva a piazzarsi in prima fila ma comunque abbastanza vicina da poter sperare in un suo sguardo, Jackie non chiedeva molto, un’occhiata, un sorriso solo e unicamente per lei, dimenticandosi di tutto il resto di quella gente.
“Che palle…” sentì dire da Manny. Jackie si voltò, furiosa.
“Come?!”
“Che palle.” ripeté l’altra, masticando vistosamente una gomma “Non so una parola e non mi piacciono nemmeno, questa è l’ultima volta che ti accompagno.”
Therese aveva la medesima espressione annoiata di Manny, mentre Bree si sbracciava chiamando a gran voce il nome di Shannon, più per entusiasmo che per altro.
“Avresti anche potuto dirmi di no!” urlò Jackie per farsi sentire.
“E come cazzo facevo, mi hai obbligata, avevi già preso il biglietto!” replicò stizzita.
Jackie sbuffò dandole una spinta e concentrandosi su Jared, non era quello il momento di discutere di stupidaggini, adesso si doveva soltanto divertire e adorare.
Udì Manny borbottare e poco dopo si prese uno spintone mentre l’amica tentava di uscire da quella bolgia, lei e Therese se ne stavano andando, solo Bree era rimasta a saltellare come un canguro, sembrava quasi che si fosse fatta di qualcosa.
Il concerto continuò mentre Jackie filmava ogni secondo, ogni attimo, agitandosi quando Jared sembrava venire dalla sua parte.
Arrivò l’ultima canzone, Jared era sotto un fascio di luce dorata che metteva in risalto le sue spalle, la chitarra in mano e quell’espressione da cucciolo innamorato che le aveva rubato il cuore. La sua voce era un flauto, armonica, perfino sensuale. Alcune ragazzine intorno a Jackie iniziarono a piangere cantando le sue stesse parole, Jackie muoveva soltanto la bocca, in un silenzioso assolo che avrebbe dedicato al suo uomo lontanissimo. Pochi metri li dividevano, eppure appartenevano a due mondi diversi, tanti anni di differenza anche se non le importava nulla. Perché, perché non si accorgeva mai di lei?
L’aveva visto fare l’occhiolino ad un gruppetto di mocciose che erano andate in visibilio, l’aveva visto prendere sottobraccio una cicciona sul palco e farle persino provare la chitarra, perché non lei, cos’aveva di sbagliato, di così anonimo?
Eppure era una bella ragazza, formosa, si era tinta di biondo due giorni prima appunto per farsi notare, si appostata appena sotto il palco, cosa stava aspettando? Lei era lì per lui!
Poi, finalmente, accadde.
Lei, lui, soli. Il palco, la chitarra, le stupidotte, la band, il pubblico, Bree, tutto scomparve per lasciare posto soltanto a loro due. La stava guardando, occhi negli occhi, quelli di Jared erano di un bellissimo blu acciaio, così profondi, intensi, due meraviglie del mondo moderno. Jackie si sentì mancare.
Rise e pianse, le lacrime le caddero lungo le guance rigandole il viso, probabilmente sbavandole il mascara ma non le importò, perché adesso lei e Jared erano in perfetta sintonia, erano divenuti la stessa anima, lui stava entrando in lei e lei in lui in uno splendido connubio di sensi, in quel momento avrebbe voluto gridargli di sposarlo, ma non volle rovinare la loro stupenda intesa.
Poi, così come era arrivata, terminò, Jared si voltò verso qualcun altro e il mondo riprese il suo corso, lasciandola ritta in piedi ad asciugarsi il pianto.
“Ehi, stai bene?!” le chiese Bree afferrandola per un braccio.
“Sì… Benissimo…” mormorò nel caos generale di fine concerto, la canzone era terminata e ora gli applausi erano un unico, enorme scroscio.
Non poteva finire così. Assolutamente.
Mentre la band svaniva rapidamente oltre i tendaggi che l’avrebbe portata dietro le quinte, Jackie prese Bree e la tirò fino a che non si ritrovarono al grande portone da cui si usciva, correndo fuori nel gelo invernale, mentre loro avevano soltanto una maglietta addosso.
“Jackie, dove cazzo stiamo andando?!” sbraitò Bree
Jackie non le rispose, continuò a correre come se avesse alle calcagna qualcuno, mentre il cortile era pressoché deserto, nemmeno gli addetti alla biglietteria c’erano più, soltanto gli ambulanti che vendevano t-shirt del gruppo ma che si trovavano dalla parte opposta in cui si stava dirigendo la ragazza.
Conosceva la conformazione del palazzetto, ci girò intorno e arrivò fino alle transenne che delimitavano i campi da gioco, che adesso erano adibiti a ricovero delle varie auto degli addetti, nonché nell’autobus ufficiale dei 30 Seconds to Mars.
Jackie si piazzò esattamente all’inizio, dove le uscite posteriori del palazzetto convogliavano, Bree si aggrappò a lei ansimando dalla corsa, chiedendole che diamine ci facessero lì. Ma in quel momento sentirono alle loro spalle strida, grida, di tutto. Altre avevano avuto la stessa idea di Jackie, anche se un po’ in ritardo.
Ben presto la calca si fece pressante e i bodyguard apparvero per tenere lontane le ragazze troppo scalmanate, Jackie fece di tutto per non schiodarsi dal suo posto, era così vicina, così dannatamente vicina.
Bree continuava a sfregarsi le braccia, nessuna delle due aveva una felpa o un maglioncino, erano arrivate con la macchina di Therese e avevano deciso di lasciare ogni vestito nel baule per non doversi trascinare dietro zavorra inutile, ma a conti fatti non era stata poi una grande idea.
Ma Jackie non faceva nemmeno caso al freddo, ci mancò poco che prendesse a sberle una ragazzina che sembrava voler far di tutto per scavalcarla, ma si trattenne, si limitò a farle lo sgambetto e farla finire contro un altro gruppetto. Niente e nessuno poteva mettersi in mezzo.
Qualcuno urlò. E di nuovo fu il delirio, Tomo stava uscendo, i capelli raccolti e un pennarello in mano, con un sorriso stanco. Poi Shannon che si era cambiato la maglietta, senza nulla togliere al suo aspetto da macho, un figo nel vero senso della parola. Insieme iniziarono a firmare autografi, per lo più scarabocchi senza un senso, l’importante era dare alle fans l’impressione di aver prestato loro un minimo d’interesse, ce n’erano alcune che supplicavano, che si disperavano letteralmente, iniziando persino a fare i capricci come bambine delle elementari, anche Bree aveva iniziato a squittire in direzione di Shannon.
Jackie invece, per quanto fosse attirata dall’idea di un autografo, rimaneva impassibile, si sporgeva un poco sulla transenna, per quanto la sicurezza glielo permettesse, finché non lo vide.
Le mancò il fiato, le ginocchia le tremarono, le sembrò persino di non udire più nulla se non i suoi passi che si avvicinavano lenti, composti e calmi.
Jared.
Una camicia indosso, un paio di jeans un po’ meno appariscenti di quelli dell’esibizione, e quel sorriso estasiante a incorniciare il tutto. Le ragazze esplosero in urletti ed esclamazioni, a cui Jackie stavolta si unì, cercò di farsi sentire, di gridare con tutto il fiato che aveva, allungò le mani nel vano tentativo di toccarlo, doveva farcela, doveva.
“Jared, sono io, IO!” sbraitò senza ritegno, cercando di distinguersi dalle altre “Mi hai guardata, ti prego, sono io!” Continuò con la stessa medesima nenia per minuti interi, senza cambiare di una virgola, mentre il suo amato firmava autografi sulle giacche, su bloc notes, su polsi di chiunque. La fece sentire perduta “Jareeeeeeeeeeeeeeeeeeeeed!!!”
Il suo tono doveva essere particolarmente disperato, visto che sortì il suo effetto. Di nuovo gli occhi di Jared si posarono nei suoi, esattamente come una mezz’ora prima. Belli, lucidissimi, vitrei, gli occhi che Jackie avrebbe voluto per suo figlio.
Jared le sorrise. Disegnò una linea frastagliata sulla mano di una ragazza con le trecce e si alzò il punta di piedi fino a raggiungere l’orecchio di uno dei gorilla, sussurrandogli qualcosa.
Jackie ormai credeva di cadere svenuta, non si sentiva più la gola e nei suoi occhi solo una marea di stelle dorate, fino a che non si sentì afferrare per le braccia. Il bodyguard la stava esortando a entrare.
Le sembrò un sogno. Si ricosse, alla bell’e meglio riuscì a oltrepassare le sbarre e toccare il cemento con la suola delle Converse, e immediatamente il cristallino sguardo di Jared affondò nel suo. Un sogno. Il suo sogno si stava realizzando.
“Ciao.” le sorrise. Vicino, vicinissimo, era persino più seducente di quanto le fosse sempre sembrato.
“Ciao.” sospirò con un sorriso incantato.
La coltre di ragazze invidiose fecero ancora più rumore, ma Jackie pareva non sentirle, e nemmeno Jared. Si guardavano, si fissavano, sorridendosi. Perfetto.
“Ti va di venire in camerino? Ti offro… una Coca?”
Lei rise passandosi un ciuffo dietro l’orecchio, annuendo timidamente. Non ci credeva.
Jared le posò una mano sulla schiena, la canottiera che indossava era scollata perciò sentì alla perfezione la linea dei suoi polpastrelli roventi, le sue impronte digitali, il suo bollore. Una scarica elettrica la travolse.
“JACKIE!” Si voltò, qualcuno aveva gridato il suo nome. Era Bree “EHI, io cosa faccio?!”
Jackie fece spallucce, segno che semplicemente doveva arrangiarsi. Non avrebbe rinunciato a quella paradisiaca occasione con Jared nemmeno per tutto l’oro del mondo. E non era eufemismo.
Il cantante la condusse lungo il corridoio illuminato, fino ad una porta arancione fluorescente che probabilmente soleva da spogliatoio nelle normali giornate. Jared le aprì l’uscio e le fece un galante cenno per farla entrare per prima, lei si fece avanti, eccitata.
C’era veramente di tutto. Un’enorme specchiera, due divani, una poltroncina e anche un frigobar, lusso, tanto lusso che stonava incredibilmente se si pensava che si era in un palasport. Ma d’altronde loro erano i 30 Seconds to Mars. E lui era Jared Leto.
“Allora.” esordì lui. Aveva una bella voce che non traspariva appieno nelle interviste registrate, un po’ roca dopo aver cantato per ore, ma sensuale, irresistibile. Le stappò una lattina di Coca Cola e la versò in un bicchiere di vetro, che le porse gentilmente “Come ti chiami?”
“Jackie.” rispose, fiera di avere un nome non comune, da dura. Lui parve apprezzare, si stappò una birra e iniziò a sorseggiarla mentre si lasciava cadere su uno dei divani, tra una folta schiera di cuscini. Fece cenno a Jackie di sedergli accanto.
Non se lo fece ripetere due volte.
Lì c’era un bel calduccio, nulla a che vedere col freddo polare di dicembre là fuori. Si sentì un po’ in colpa per aver lasciato Bree tutta da sola, ma sperava che ritrovasse in fretta Therese e Manny, in fondo la tecnologia le aveva dotate di cellulare, no?
E poi, non aveva tempo di pensarci. Era nello stesso spazio vitale di Jared Leto, nel suo camerino, con la porta chiusa, vicinissimo, tanto da poterlo toccare solo allungando una mano. E ora le stava passando un braccio intorno alle spalle.
In quell’istante Jackie fu sicura che quella notte non sarebbe nemmeno rientrata a casa per dormire.
Come faceva sesso, Jared Leto?
“Quanti anni hai?” le chiese in tono neutro, osservandola.
“Trenta.” mentì. E Jared parve accorgersene subito, perché fece un sorriso furbetto, da madre che aveva smascherato il figlio con le mani nel pacchetto delle merendine “Ok, ventitre.” si corresse di malavoglia “Ma l’età non conta!” esclamò di slancio. Non voleva che uno stupido cavillo lo potesse tenere lontano dal suo corpo.
Invece Jared si mise a ridere, divertito.
“No, assolutamente. Era per curiosità.” Bevettero con calma, Jackie fece training autogeno per mettersi a proprio agio, fremeva dall’emozione, finalmente il suo sogno più proibito era diventato realtà, proprio come aveva sempre immaginato, ed era stupendo!
“Posso baciarti?!” domandò all’improvviso, cogliendolo un poco di sorpresa. Jared la scrutò vagamente interdetto, ma poi appoggiò la bottiglia con un sorrisino, togliendole di mano anche il bicchiere.
Jackie temette di averla fatta grossa. Forse aveva esagerato, forse era andata troppo veloce, forse era andata oltre i limiti consentiti, forse aveva frainteso.
“Scusa, non volevo… Intendevo…”
“Sssht.” Jared la zittì lasciandole scorrere le dita tra i lungi capelli neri raccolti con un fermaglio, le fece venire la pelle d’oca, le sfiorò gli zigomi con delicatezza, con gentilezza. E la baciò.
Jackie andò a fuoco. Probabilmente arrossì come una mela matura ma era irrilevante, ci mise qualche secondo per abituarsi a quella sensazione, poi posò le mani sulle sue spalle, arrendendosi al desiderio, socchiudendo le labbra.
La lingua di Jared entrò a titillare la sua, sinuosa, elegante, elettrizzante, un serpente portatore di peccato che la stava traviando con una malizia indicibile rendendola sempre più vulnerabile al suo fascino carnale, il suo bacio era lungo e umido, esattamente come Jackie aveva sempre bramato, che la facesse sentire finalmente una donna vera, altro che tutti quegli sfigati con cui era andata a letto fino ad ora, Jared Leto non era nemmeno lontanamente paragonabile, era un maestro, era un moderno Casanova che arroventava l’aria solo con un movimento.
Jackie si aggrappò a lui mentre gli si stringeva addosso, si persero in un abbraccio focoso mentre il cantante le passava le mani lungo la schiena, sfiorandole languidamente i fianchi e sollevandole leggermente la canotta senza però toccarle la pelle, la stava facendo eccitare con una serie di dolci movimenti altalenanti, preliminari al massimo dell’erotismo.
Jackie ansimò nella sua bocca in un momento di raccolta d’ossigeno, le sue dita scorsero fino ai jeans di Jared e s’intrufolarono al di sotto della sua maglietta, s’impossessò dei suoi muscoli guizzanti, tastò millimetro per millimetro il suo torace da divinità pagana, salì fino ai suoi capezzoli tumidi, si divertì a stuzzicarlo nel modo che sapeva fare meglio, fu un bel gioco, fantastico.
Emise un grazioso gemito stupito quando Jared iniziò a baciarle il collo, le disegnò una lunga scia sulla clavicola, l’abbracciò con foga facendola sentire protetta, in ansiosa attesa, le stava piacendo, di gran lunga meglio di qualunque fantasia che avesse mai fatto sino a quel momento.
“Jay…” Le parve incredibile poter usare quel nomignolo, proprio lei, e proprio con la persona giusta. Si sentì la ragazza più felice del mondo.
“Jackie.” Il suo nome soffiato nell’orecchio le fece venire la pelle d’oca, esattamente quanto Jared che le solleticava il lembo di pelle nuda tra la canottiera e i jeans “Ti piaccio così tanto?”
“Tantissimo…” Fremette aggrappandosi ai suoi fianchi, pronta per essere spogliata ed essere alla sua mercé, non gli avrebbe negato nulla di lei, nulla.
“Sono bello?”
“Bellissimo…” Digradò verso i pantaloni di Jared andando ad intaccare il bottone centrale, sentendolo scattare con soddisfazione.
“Vuoi che lo rimanga per sempre?” le sussurrò in un brivido caldo, facendola tremare di nuovo, impaziente.
“Per l’eternità…” soffiò ansimante. Lo sentì ridere, una risata meravigliosa, suadente, melliflua.
“Sono contento di sapere che la pensiamo allo stesso modo.”
Poi, dolore. Jackie non capì immediatamente.
Ci volle qualche secondo, qualche istante per rendersi conto che quello che le si stava allargando nel petto era davvero dolore nel vero senso della parola, male fisico, qualcosa che la sua mente avrebbe dovuto rifuggire se solo il cervello non avesse avuto troppe endorfine a cauterizzarne l’effetto.
Cos’era che faceva male?
Denti.
Perché Jared le aveva piantato i denti nella carne?
“Jay…” Colta di sorpresa, doveva esserci un motivo valido per quel dolore, doveva soltanto lasciarselo spiegare “Un attimo…”
In quell’attimo si sentì sopraffare da una sensazione di inerzia dilagante, fu stranissimo, come se all’interno delle sue vene ci fosse stato un sottilissimo catetere che le passava lungo tutto l’apparato circolatorio, e aveva iniziato a far circolare aria in tutte le direzioni, confondendola. L sua vista si ridusse ad un’offuscata cascata bianchissima, e si sentì svuotare, il caldo che aveva sentito fino a pochi secondi prima era svanito del tutto, sostituito da uno strato di sudore gelido.
“Jay…” lo supplicò.
Di nuovo dolore, acuito, bruciante come sale su una ferita aperta. Sentì colarle qualcosa di caldo sulla pelle, caderle sulle spalle, qualche piccola goccia.
“Ho bisogno di te per rimanere quello che sono.” le confidò Jared in un bisbiglio, così calmo, così serafico, invitante “Non vuoi vedermi bello per sempre?”
Jackie era confusa, troppo per poter pensare, senza forze, senza volontà, senza niente.
Perché Jared le stava dicendo quelle cose strane? Perché il cantante dei 30 Seconds to Mars, quel bellissimo uomo che ogni giorno si mostrava in tutta la sua bellezza di attore e modello, le parlava in quella maniera incomprensibile?
“Sì…” annuì sfocata. Jared rise. Le sue labbra erano bagnate di qualcosa di viscoso, tiepido e colloso.
E i suoi denti foravano.
“Sentiti onorata, Jackie.” Le tolse i capelli dal collo, ormai ridotta ad una marionetta priva di fili “Anche tu mi stai aiutando a essere immortale.”
Anche? Significava che ce n’erano state altre prima di lei?
“Non potrai più ammirarmi ad un concerto, dopo stasera.” le disse con pragmatica compassione, pacato “Ma saprai che grazie al tuo sangue continuerò a essere quello che sono.”
Sangue, quello che Jackie non sentiva più arrivare al cervello, i suoi neuroni mandavano pochi impulsi elettrici, non abbastanza per farle comprendere che stava morendo. Forse se n’era reso conto solo la fibra del suo corpo, che lei non sapeva più ascoltare.
“Ma io…” Rantolò, era come se stesse soffocando “Io ti amo…”
“Anch’io ti amo, Jackie.” Jared si ritrasse abbastanza per guardarla di nuovo negli occhi, per sorriderle. Un filo di sangue scarlatto gli macchiava il mento perfettamente rasato, e due canini affilati erano leggermente venati di rosso . Il suo sorriso era bello come sempre “Ti amo perché mi ami.”
Non lo capì. Jackie ciondolò un poco prima che Jared la prendesse di nuovo tra le braccia, accarezzandole la testa, si appoggiò a lui come il suo salvatore, improvvisamente stanca di tutto.
Pensò a Bree, al fatto che sperava fosse riuscita a ritrovarsi con Manny e Therese.
Avvertì di nuovo quel dolore, ma attutito, e di nuovo quella sensazione di vortice tra vene e arterie, ma stavolta più rallentato, lontanissimo, come se il corpo non fosse nemmeno il suo.
Chiuse gli occhi sfiorando la coscia di Jared, calda, muscolosa, scolpita. Si lasciò definitivamente andare, mentre Jared Leto aveva detto di amarla.


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