- Anno: 2015
- Durata: 121'
- Distribuzione: Warner Bros Italia
- Genere: Azione
- Nazionalita: USA
- Regia: Ron Howard
- Data di uscita: 03-December-2015
Sinossi: Nell’inverno del 1820, la baleniera del New England Essex viene attaccata da una creatura incredibile: una balena bianca dalle dimensioni e dalla forza elefantiache con un senso quasi umano della vendetta. Sfidando le tempeste, la fame, il panico e la disperazione, gli uomini dell’equipaggio mettono in discussione le loro convinzioni più profonde, dal valore della loro vita alla moralità dei loro scambi, mentre il capitano cerca di riprendere la rotta e il suo eroico primo assistente tenta di arpionare e sconfiggere la grande balena bianca. Trent’anni dopo lo scrittore Herman Melville riesce a rintracciare uno dei pochi sopravvissuti al naufragio, all’epoca poco più di un ragazzino, e cerca di convincerlo a raccontargli, dietro un lauto compenso, la storia che di lì a poco getterà le basi per il suo Moby Dick, uno dei massimi capolavori della letteratura mondiale.
Recensione: La supposta mancanza di uno stile forte che molti imputano da sempre a Ron Howard rappresenta in realtà la cifra distintiva di quello che, a tutti gli effetti, va considerato come l’ultimo regista classico americano, in un’accezione fordiana del termine. Se si escludono però alcuni progetti di natura più dichiaratamente alimentare (i due film tratti dai best seller di Dan Brown) e l’inspiegabile pasticcio del recente Il dilemma, ci si rende conto di come la fase più matura della fitta filmografia di Howard lavori quasi tutta in direzione di una riscrittura integrale del mito e dell’epica del racconto, in cui il ruolo del narratore torna spesse volte centrale. Costante del suo cinema è la presenza di un ostacolo apparentemente insormontabile – che sia la malattia mentale del matematico John Forbes Nash (A Beautiful Mind) o la ritrosia ad ammettere le proprie colpe di Nixon (Frost/Nixon) poco importa – e la consapevolezza che il senso di un’impresa, prima ancora che nel portarla a termine, risieda nei modi in cui consente all’eroe di turno di raggiungere una maggiore comprensione di sé. In tal senso il libro in cui Nathaniel Philbrick racconta la vera storia da cui Melville trasse ispirazione per Moby Dick (Il cuore dell’oceano. Il naufragio della baleniera Essex) è per il regista la classica quadratura del cerchio, perché gli permette da un lato di ragionare sui limiti (soprattutto etici) di chi la storia la racconta e, dall’altro, di rappresentare l’oggetto del racconto come un eroe idealtipico per cui è il concetto stesso di limite ad essere il primo nemico da combattere.
Una volta contestualizzati i termini della narrazione – tutto il film è il racconto di un sopravvissuto dalla bottiglia facile a un giovane Melville, vero alter ego di Howard – la macchina da presa, priva a sua volta di qualsiasi vincolo alla realtà, è libera di inoltrarsi tra i flutti di una storia che flirta di continuo col mito. In quest’ottica anche la scelta, come protagonista, dell’attore diventato famoso per aver interpretato Thor è perfetta, così che sia ben chiaro a tutti che ciò a cui si sta assistendo non corrisponde in alcun modo alla verità, ma solo alla più spettacolare delle sue tante versioni. Di lì in poi è tutto un tripudio di virilità testosteronica e gergo marinaresco d’antan, contrappuntati da un sottotesto ecologista (quasi pleonastico a dirsi ma la balena bianca è di fatto la natura che si ribella all’avidità dell’uomo) che in anni di politically correct era oggettivamente difficile da bypassare.
Ciò detto Heart of the Sea è un film di straordinaria potenza visiva, incorniciato dalla splendida fotografia iperrealista di Don Mantle e abilissimo nel controbilanciare certi eccessi di spettacolarità con una capacità di sintesi già ampiamente mostrata da Ron Howard nel suo film precedente, il bellissimo Rush, da cui mutua anche il rapporto dicotomico tra i due protagonisti (l’altolocato capitano Pollard e il primo ufficiale di più umili origini prendono qui il posto di Hunt e Lauda) come anche l’ossessività e lo spiccato individualismo che ne muovono le azioni. Peccato solo che questo Heart of the Sea non condivida con quel film anche l’autore della sceneggiatura Peter Morgan che forse avrebbe scavato maggiormente nei personaggi fino a fare emergere quelle ombre che il pur bravo Charles Leavitt (anche autore, insieme a Duncan Jones, dello script dell’attesissimo Warcraft) non riesce – o forse proprio non vuole – mettere in evidenza.
Ma è davvero gran poca cosa rispetto alle mirabilie visive di un film che, pur essendo classico come classico è il suo regista, sposta inevitabilmente in avanti i limiti del filmabile, spingendo di continuo lo spettatore a chiedersi come sia stato possibile girare certe scene. E – sempre per rimanere in tema marittimo – era dai tempi del Titanic di James Cameron che non accadeva di uscire dalla sala con una vaga sensazione di mal di mare.
Fabio Giusti