Heavy Rain - Recensione

Creato il 01 marzo 2016 da Lightman

Giuseppe Arace ha iniziato a venerare i videogiochi e il cinema quando, a soli 4 anni, è rimasto folgorato dalla schermata d'avvio del Sega Mega Drive e dai titoli di testa di Toy Story. Nato con un pad tra le braccia, vorrebbe morire con un Oscar. Non ama molto i social network e bazzica raramente solo su Google Plus.

Il rombo del tuono,
nel cielo nuvoloso.
Forse pioverà.
E quando accadrà, resterai con me?

Il rombo del tuono,
nel cielo nuvoloso,
e anche se non piovesse,
resterò con te.

(da " La raccolta di diecimila foglie")
Il poliziesco è un genere molto complesso da gestire. Immaginatelo come un origami: il racconto prende una forma ben definita soltanto se tutti i risvolti vengono piegati nel modo corretto, e gli angoli si incastrano senza increspature. Nel cimentarsi con un genere così impegnativo, David Cage non ha avuto timore di osare mentre provava, nel 2010, a rivoluzionare anche il metodo d'approccio al medium videoludico: con Heavy Rain il giocatore diventava a tutti gli effetti spettatore partecipe di un vero e proprio thriller interattivo, in cui le scelte condizionavano lo svolgersi degli eventi e, in parte, anche quello delle indagini. Una sfida ardita che ha riscosso il successo sperato: non a caso, al momento della release su PlayStation 3, Cage ha ricevuto soprattutto parole d'encomio sia da parte del pubblico che della critica; più di quanto, tre anni dopo, avrebbe invece ottenuto con Beyond, accolto con meno entusiasmo. Ecco spiegato forse anche il motivo per cui la remastered di Heavy Rain ha raggiunto gli scaffali con cinque mesi di ritardo rispetto a quella del suo successore: non solo perché la conversione di un titolo tecnicamente più datato richiede maggior tempo e dedizione, ma anche perché Heavy Rain è un gioco più solido ed equilibrato di Beyond sul fronte narrativo. Sembra quasi che Cage abbia voluto ricostruire il suo percorso creativo con una nuova linea temporale, come se Heavy Rain rappresentasse l'opera della maturità che Due Anime non è riuscita ad essere. Per questo, nonostante gli evidenti segni del tempo che la rimasterizzazione per Ps4 mette chiaramente in luce, Heavy Rain rimane ancora oggi uno dei maggiori esponenti del tanto ricercato connubio tra cinema e videogioco.

DELLA DISSIMULAZIONE (DIS)ONESTA

Prima di sfociare in un dramma esistenziale a tinte gialle, la trama di Heavy Rain inizia come un poliziesco di stampo classico, in cui un killer seriale, soprannominato "l'assassino dell'origami" per via di piccoli animaletti di carta che lascia sul corpo delle vittime, rapisce e annega nell'acqua piovana soltanto bambini tra i 9 e i 13 anni, mettendo alla prova la forza di volontà dei loro genitori, chiamati a superare terribili sfide pur di riuscire a salvarli. Ethan Mars, architetto di successo, è uno di questi. La sua vita viene sconvolta quando il primo dei suoi due figli muore in un incidente d'auto, mentre il secondo finisce addirittura nelle mire del killer. La disperata storia di Ethan s'intreccia allora con quella di altri tre protagonisti: la bella e intraprendente giornalista Madison Page, che soffre d'insonnia acuta; il detective privato Scott Shelby, che indaga per conto dei familiari delle precedenti vittime; e infine il criminologo dell'FBI Norman Jayden, che coi suoi gingilli tecnologici collabora con la polizia per incastrare l'assassino. Ognuno di questi personaggi mostra un profilo psicologico sfaccettato e complesso.

Sono però protagonisti dalla personalità ben inquadrata, fatta la sola eccezione di Ethan, tra tutti quello più "personalizzabile" nelle sfumature caratteriali. All'utente viene concessa insomma la possibilità di scegliere il destino dei protagonisti, non la loro indole comportamentale: il giocatore può quindi controllarli, non "impersonarli". E' questo, forse, uno dei limiti più evidenti di Heavy Rain, caratterizzato com'è da una progressione un po' troppo rigida e guidata per buona parte dell'avventura, che solo nella seconda metà si apre a variazioni significative. Sono vincoli che sei anni fa potevano passare inosservati, considerando le novità introdotte dall'opera di Cage, ma che oggi, dinanzi alle conquiste (straordinarie) di Life is Strange o a quelle di Until Dawn, iniziano a farsi sentire. Anche le meccaniche di gioco, basate sull'ormai celeberrimo sistema di QTE, sdoganato dalla nicchia nella quale era rintanato proprio grazie al lavoro Quantic Dream, accusano leggermente il contraccolpo della vecchiaia. Buona parte della progressione si basa su un susseguirsi di tasti da premere al momento giusto, con una serie di varianti che provano, grazie anche all'uso dei sensori di movimento del controller, a mimare le azioni che i protagonisti compiono a schermo.

La precisione dei controlli e la loro reattività si mantengono eccellenti, benché a lungo andare le combinazioni possibili tendano ad esaurirsi, lasciando spazio ad un briciolo di ripetitività, alleviata soltanto dalla considerevole sensazione d'ansia che accompagna, con un crescendo da manuale, le sequenze al cardiopalma, in cui è necessario premere i tasti con rapidità e tempismo, pena conseguenze potenzialmente mortali. È un peccato allora che per variare un tantino il sistema di controllo non sia stato sfruttato in alcun modo il touchpad di Ps4, completamente inutilizzato per tutta la durata dell'avventura. Nei momenti di relativa quiete dedicati all'esplorazione, inoltre, i movimenti si fanno eccessivamente macchinosi, molto meno naturali di come li ricordavamo, complici anche inquadrature tutt'altro che perfette, che alle volte incastrano il giocatore in angoli soffocanti, ne scombussolano l'orientamento e tendono persino a nascondere le icone con cui interagire. Una regia virtuale, insomma, un po' approssimativa, alla quale però fa da contraltare l'ottima direzione delle scene più adrenaliniche e avvincenti, che confermano le velleità cinematografiche di David Cage.
Non è mai stato il gameplay, tuttavia, il fulcro principale di Heavy Rain, bensì la potenza della sua storia, immersa in un livore crudo e affranto. Il titolo - è bene ribadirlo - si presenta come un thriller di stampo esistenziale e psicologico, nel quale più di tutto conta l'empatia che si instaura con i protagonisti, condividendo le loro paure, turbe, ansie, fobie, dipendenze. Sotto quest'aspetto, il titolo Quantic Dream è sceneggiato in modo magistrale, una vera lezione di comunicazione crossmediale, che trasporta senza colpo ferire il linguaggio rigoroso e lucido del cinema in un contesto, come quello videoludico, in cui è il giocatore ad avere il controllo della scena. Nelle sequenze di maggiore intimità, di quotidiana routine, di delicato struggimento, Heavy Rain dà il meglio di sé e mostra a pieno le sue qualità narrative, grazie alle sottese riflessioni sul ruolo del sacrificio, della fiducia e dei legami filiali, ed alla capacità di mescolare diversi registri stilistici con buona omogeneità, spaziando dal gore al noir, con un condimento dal sapore quasi futuristico. Ma poi, d'un tratto, in Heavy Rain l'incanto s'infrange. E ciò accade perché all'improvviso la sceneggiatura imbastita da Cage si ricorda di essere, prima di tutto, un giallo. E in un giallo, ad un certo punto, occorre necessariamente tirare le somme della storia. Heavy Rain è un gioco che cerca a tutti i costi il colpo di scena, e lo trova facendo ricorso ad una dissimulazione (dis)onesta. È vero: il guizzo a sorpresa sul finale c'è, ed è spiazzante.

The David Cage HD Collection

Questo plot twist però, se ad una prima run scorre via che è un piacere, irretisce e ammalia, vissuto una seconda volta mette alla berlina mancanze ingenue, addirittura fastidiose. Senza entrare nel dettaglio per non incappare in qualche anticipazione fatale, basti dire che Quantic Dream tende ad ingannare il giocatore in modo non sempre leale, poiché inscena situazioni che, analizzate col senno del poi, si rivelano incoerenti alla luce dei risvolti conclusivi. Non si tratta soltanto del mancato rispetto dei dettami di S.S. Van Dine (e delle sue venti regole per scrivere romanzi polizieschi), ma di scene inserite deliberatamente per non permettere al giocatore di svelare, o anche solo sospettare, in anticipo la soluzione del mistero. Non parliamo di buchi di trama o ellissi narrative, bensì di sequenze che non s'incastrano a dovere con la conclusione delle vicende. Torniamo allora all'immagine dell'origami citata in apertura: Heavy Rain può essere considerato alla stregua di una scultura di carta i cui angoli sono piegati in modo discontinuo, senza seguire con la giusta accuratezza ogni passaggio. Nella sua pur bellissima forma finale si notano così increspature che in parte intaccano l'armonia dell'intera composizione.

"STA COMINCIANDO A PIOVERE..."

All'inizio di Heavy Rain veniamo inondati dai raggi di un sole caldo e penetrante. È la classica sensazione di calma apparente, della quiete che precede, letteralmente, la tempesta. Quando la tragedia si compie, un diluvio apocalittico e simbolico capovolge, infatti, i toni della narrazione. E l'impatto visivo cambia, si fa cupo e doloroso. La pulizia dei 1080p si nota specialmente nell'effettistica legata alla persistente precipitazione che scandisce il racconto e condiziona i colori dell'atmosfera: l'asfalto madido che riflette sprazzi di luce, le pozzanghere nelle quali zampettano gocce di pioggia, e gli umidicci volti dei protagonisti, su cui si confondono lacrime e acqua piovana, donano al colpo d'occhio maggiore spessore e realismo.

Sono gli interni ad aver beneficiato particolarmente della rimasterizzazione, rivestiti da superfici in alta definizione e da nuovi effetti di luce volumetrica, che creano una coltre quasi tangibile di polvere. Anche i visi dei personaggi hanno subito un lifting, che ha tolto loro qualche anno di troppo, e gli ha fatto guadagnare in dettaglio ciò che manca, invece, in espressività. Eppure, la limatura del comparto grafico si è rivelata meno impeccabile di quello che era lecito attendersi. È una conversione che vive di mezze misure, perché contrappone la cura dei luoghi al chiuso ad una certa trascuratezza degli spazi aperti, dove l'occlusione ambientale ci è parsa ancora primitiva e molte texture denotano chiaramente l'origine old gen.

Permangono poi inspiegabili rallentamenti e qualche bug di compenetrazione poligonale che intrappola i personaggi nello scenario, impedendone i movimenti. Brutte notizie anche sul fronte sonoro: per quanto le musiche, oggi come sei anni fa, siano uno degli aspetti più riusciti della produzione, continuano a persistere odiosi dislivelli tra il volume delle voci e quello delle campionature ambientali, segno fin troppo evidente di un lavoro di polishing e missaggio audio realizzato con eccessiva fretta. A chiosa, segnaliamo che in questa edizione Ps4 manca all'appello il dlc "l'imbalsamatore" (presente invece nella cara, vecchia "Move Edition") che vedeva Madison protagonista di una nuova, brevissima avventura. Il capitoletto, primo (e unico) episodio di una miniserie intitolata Chronicles (finita purtroppo nel dimenticatoio), non è certo un contenuto imprescindibile, ma si tratta pur sempre di un extra che avrebbe potuto essere tranquillamente inserito in nome di un'offerta quanto più completa possibile.