Perché i Runemagick dalla Svezia hanno fatto cento dischi e non mi hanno mai intrippato? Perché tre di loro fondano gli Heavydeath e scatta qualcosa? Siamo sempre tra doom e death metal, anche se qui c’è molto doom e poco death, ma forse è cambiato l’atteggiamento: gli Heavydeath sono nudi e crudi, quasi brutti e quasi senza vocals, e concentrati solamente sul loro suono; ai primi ascolti (ma alla fine non è così vero) avrei detto solo sul suono e non sulla musica, non so se mi spiego. Il chitarrista Nicklas Rudolfsson non ha alcuna fretta e sembra non cagarci più di tanto: assapora ogni feedback e ogni distorsione come fossero gli ultimi e rumina ogni suo riff, alla ricerca del gusto e della consistenza perfetti (quanto acido? Quanto pesante? Quanto elettrico?). La sezione ritmica, specie il basso, trova un sacco di spazio lasciato libero, e si muove lenta ma con la sapienza infallibile dell’artigiano, quello che vive fabbricando bare, probabilmente. Sì, perché qui il profilo è basso e l’atmosfera è cimiteriale: se fosse la scena di un film, sarebbe quella di Nosferatu che scende dalla nave, preannunciato dai topi.
Buono, lontano dall’imprescindibile, ma buono.