Hegel

Creato il 13 gennaio 2013 da Alby87

Hegel è un caso veramente unico nella storia della filosofia. Non ci sono altri pensatori altrettanto odiati, e al contempo altrettanto amati; altrettanto glorificati e al contempo altrettanto deplorati.

Non c’è alcun dubbio che nel pensiero di Hegel ci sia un qualcosa, uno o più catalizzatori che sono in grado di scatenare un così forte dibattito. In un modo o nell’altro Hegel ha lasciato il segno nella storia del pensiero, e in questo senso, non me ne vogliano gli analitici, è “geniale”. Ma in quali altri sensi lo è?

Gli storici della filosofia, nonché molti cosiddetti filosofi che in realtà fanno solo storia e letteratura filosofica, si accontenterebbero di sapere che “ha lasciato il segno” per dirne ogni bene e liquidare ogni critica un minimo seria e sostenuta. A noi non basta. Vorrei dunque tentare di capire perché Hegel ha segnato la storia e conquistato metà del mondo della filosofia, e perché parallelamente l’altra metà lo ritiene un cazzaro cialtrone.

Cominciamo col chiarire che quest’analisi non può limitarsi né ai soli fattori concernenti il valore filosofico effettivo del suo pensiero, ma anche di quelli sociali e storici. Diverrà presto impossibile tenere i due aspetti separati, ma si cercherà di mantenere sempre l’attinenza con la questione filosofica. Quelli che seguono sono, a mio avviso, i principali ed innegabili meriti filosofici di Hegel:

È il culmine del’idealismo.

Il percorso di risoluzione del dualismo soggetto-oggetto si conclude in Hegel, senza necessità di aggiunte sostanziali, col suo nucleo basato sulla “dialettica”. Le aggiunte da fare su questo punto, anche quelle fatte dallo stesso Hegel, sono solo accessori. Accessori preziosi o preziosissimi magari, ma che nulla aggiungono al cuore della realizzazione concettuale. Alcuni negano anche questo merito di Hegel,  ma direi che costoro per quanto mi riguarda possono tornare da Kant a scervellarsi fra noumeni, cose in sé ed altra roba di fantasia.

Per la prima volta ha proposto il problema dell’analisi dei contenuti logici, e non solo delle forme.

Il problema del contenuto logico è sempre sfuggito, e sfugge tutt’ora, ai logici formali. Di solito è una rincorsa della definizione, con una definizione che definisce un concetto, che viene usato per definire un altro concetto, che viene usato per definire un altro concetto. Questo procede all’infinito senza arrivare a capo di nulla. Non a caso oggi sempre di più leggiamo tentativi più o meno riusciti di ricondurre ogni semantica ad una sintassi. In questo senso Hegel, che se ne occupo’ seriamente, fu precursore.

Il pensiero strutturato per contraddizioni risolte.

L’uso che fecero pensatori successivi, come Marx, di questa trovata hegeliana, è quanto di più intellettualmente abominevole. Ma la scoperta che il mondo contiene contraddizioni e che la filosofia non può esimersi dalla loro risoluzione è centrale nella storia della filosofia.

A ognuno di questi meriti, si accompagnano uno o più demeriti:

Lo storicismo.

Proprio nel momento in cui la contraddizione soggetto-oggetto, percipiente e percepito, va a risolversi, ecco che viene resuscitata: in Kant la dimensione temporale dell’oggetto era un prodotto dell’attività creativa in forme pure del soggetto. Ma nel momento in cui Hegel ingiunge al suo Geist di svolgersi nel tempo e nella storia umani, automaticamente porta di nuovo il tempo (e quindi una dimensione della percezione) a trascendere il soggetto e anche l’oggetto. Da qui verrà la miseria storicistica in cui cadranno tutti gli hegeliani a venire …

Vacuità dei contenuti.

Hegel camminava sul filo del rasoio. I logici formali avevano scelto di curarsi solo della forma vuota della logica, tralasciando lo sviluppo e la formazione delle idee-contenuto. Ora Hegel rimediava a questo errore, ma non riusciva a resistere alla tentazione dell’assoluta generalità e purezza dei concetti. Ma una cosa è trattare della natura di ogni contenuto, un’altra è immettere effettivamente contenuto nel concetto, perché allora la contaminazione e inevitabile e la purezza è persa. Puoi dare una descrizione meccanicistica della struttura di qualsiasi contenuto, ma non puoi determinare a priori contenuti particolari a partire da essa; questi dovranno comunque provenire da un dato fisico ed empirico, dall’ “intelletto”, come lo chiama lui con spregio. L’idea di recuperare tutta la metafisica di Dio, Anima e Mondo attraverso questo trucco non è altro che una sofisticheria: la ragione non trascende le possibilità dell’esperienza e della deduzione, perché se lo fa non trova che concetti vuoti.

L’attacco al principio di non contraddizione.

L’avversione di Hegel per questo principio è in generale largamente ingigantita da chi ne parla, e tuttavia è presente. È un fatto che Hegel si lasci spesso andare a vedere la propria logica dei contenuti non come un’integrazione della logica formale, ma come una sostituzione. Ma è chiaro che una teoria o un sistema di pensiero che ne contraddicano uno precedente in realtà non lo includono in sé, ma lo elidono. Esattamente come Hegel che fece sparire dai libri di storia Schelling.

Ora direi che fra meriti e demeriti filosofici (a coppie dialettiche, si direbbe …), abbiamo strumenti sufficienti per spiegarci tutti gli atteggiamenti che via via sono nati a favore e contro di lui.

Hegel aveva ragione, in quel tempo e anche nel nostro, di piacere molto ai filosofi di professione. Da un lato aveva effettivamente dei meriti filosofici, non si può negarlo. Sul suo impianto sono state costruite correnti filosofiche straordinarie e fruttuose come l’empirismo radicale e la fenomenologia. Ma se uno legge Marx, ad esempio, sarà presto colto dal sospetto che tutti questi meriti puramente filosofici i ferventi hegeliani non li avessero mai colti davvero, e lo seguissero per tutt’altri motivi.

No, non bastano i meriti filosofici a fare di Hegel la pietra miliare che, volenti o nolenti dobbiamo riconoscerlo, è stato.

Il fatto è che Hegel diede ai filosofi, sempre più messi da parte con l’avanzare del progresso scientifico, e incapaci di reinventarsi un ruolo positivo nella società, la possibilità di trovarsi comunque un posto. E che posto! Graditissimo non solo a loro, ma anche a tutti i non filosofi …

Il filosofo dipinto da Hegel è uno specialista del pensiero puro; si muove su concetti vuoti che chiunque può riempire a suo modo; non cambia la realtà, ma si limita a “spiegarla” secondo concetti provvidenziali; non entra in contraddizione con la scienza, poiché ciò che dice può facilmente riadattarsi a qualsiasi dato empirico con una giusta dose di reinterpretazione; è un professionista specializzato, e questo è un dato fondamentale, perché fino al settecento il filosofo era quasi sempre uno che per lavoro faceva dell’altro, ed era spesso contemporaneamente anche scienziato … adesso nasceva l’esperto di “filosofia”, pagato per fare solo quella; non dà fastidio al potere, visto che sostanzialmente è lì per spiegare logicamente le ragioni dello status quo senza mai metterlo in discussione; infine, dà ai filosofi un gran bel passatempo, per quanto completamente inutile.

Sappiamo che esiste tutta una dannatissima razza di filosofi che non avvertono nessuna “missione” nel proprio pensare, ma solo un diletto di sofisticherie. Per loro il sistema hegeliano, che dava uno schema così astratto e aperto da poter giocare con l’inconsistenza ad libitum, era una pacchia. E parallelamente, a questa costruzione della figura del “filosofo puro” si accompagnava una sua assurda glorificazione: l’occupazione del filosofo così come la propone Hegel rappresenta in qualche modo il culmine di tutto, malgrado non abbia alcuna utilità né pratica né psicologica: il filosofo in senso hegeliano non fa scienza, non fa tecnica, non fa consolazione, non fa arte, non fa emozione … fa sofismi inconsistenti e basta, e si glorifica di questo. Naturale che alla razza dannata di cui parlavo sopra tutto ciò piacesse, e che piacesse allo stesso Hegel, che evidentemente vide sempre se stesso come un compilatore della filosofia e nulla di più, finendo col convincersi dunque che la grandezza del pensiero si possa ridurre ad un lavoro di compilazione e ricapitolazione del pensiero di altri.

Il genio (del male?) di Hegel, in questo senso, consisterà nell’aver inventato da zero un’esigenza del popolo, un po’ a mo’ di primo pubblicitario della storia della filosofia. Convinse le persone che c’era bisogno di una “metafisica”  come egli la intendeva, che “bisognava restituire ai tedeschi la metafisica” (immagino i tedeschi stare svegli la notte piangendo sulle rovine della rivoluzione kantiana …) e naturalmente dopo la vendette con grande efficacia, da buon salesman. Nessuno ha bisogno di quel tipo di filosofia, in realtà, per cui era necessario per prima cosa convincere la gente che ce ne fosse disperata necessità. Ci riuscì, almeno con alcuni spiriti semplici.

Naturalmente tutto questo attirò dall’altro lato l’odio sempiterno di tutti i pensatori pragmatici e rivoluzionari, che vedevano l’identità fra reale e razionale non come un qualcosa di già svolto, un prodotto storico che il filosofo deve solo spiegare, ma coma un iter in realizzazione nel presente, in ogni respiro; quelli che consideravano il percorso attuale della filosofia non come un compiuto, ma come un inizio. Perché è chiaro che lo spettatore e osservatore neutrale dello svolgimento dello spirito, il filosofo di Hegel, non può interagire con ciò che studia, o perde oggettività: è in questo modo che la dialettica di Hegel aveva cristallizzato il pensiero, invece di ravvivarlo, come avrebbe dovuto essere[1]. Allo storicismo di Hegel, necrofilo poiché semplice ricapitolatore di pensieri già morti, si opporranno sempre coloro che sentono nel pensiero l’esigenza in movimento della vita: Schopenhauer, Marx, Nietzsche, Popper, Russell … Non hanno nulla in comune e spesso si odiano o contraddicono anche fra di loro, ma l’opposizione al pensiero da “ragioniere della storia” di Hegel, la propensione alla realizzazione di ciò che sta nella mente nel mondo, e il desidero di coinvolgimento sociale li accomunano tutti. Costoro si reinventarono per se stessi un ruolo sociale di volta in volta diverso; chi tradì per sempre la filosofia, come Marx, chi cercò con risultati più o meno efficaci una conciliazione col pensiero scientifico e con l’avanzare della società, chi si rifugiò nell’arte e nel linguaggio poetico, chi chinò umilmente il capo e iniziò a fare una filosofia interamente empirica che non faceva altro che servire gli scopi del pensiero scientifico. Fortunatamente, non mancheranno anche i pensatori che da altri ambiti occuperanno il seggio vacante dei filosofi occupandosi del pensiero puro.

Filiazione diretta del lavoro che Hegel fece fu invece la filosofia chiusa nelle accademie, quella dei tecnicismi e dei giri di parole infiniti, dei termini privi di significato, del “trascendente”, quella che nessuno più capisce e a cui nessuno più si interessa, quella con la quale e senza la quale si rimane tale e quale. Dentro le accademie, scienza, tecnica, politica, progresso saranno sempre più deplorate; fuori da esse la filosofia conoscerà un discredito e un’insofferenza sempre maggiori. C’è chi ha addirittura colpevolizzato Hegel come mandante teorico dei totalitarismi del novecento, non rendendosi conto che Hegel non sarebbe mai stato mandante teorico proprio di nessuno: Hegel era un filosofo che non rompeva i coglioni al potere, che forniva divertissemènt agli intellettuali, ma non poteva condurli in battaglia, in nessuna battaglia, né a favore né contro; il suo era un semplice e graditissimo silenzio-assenso.

Fingere neutralità nelle proprie conclusioni è disonesto verso se stessi prima ancora che verso il proprio lettore, dunque sarà bene esplicitare ciò che chiunque ha già capito: non ho simpatia per Hegel, e malgrado non voglia spingermi, come Popper o Russell, a negarne completamente gli importanti contributi filosofici, ho ragione di ritenere che i suoi demeriti complessivamente superino largamente i meriti.

Dico questo soprattutto visti e considerati gli sviluppi storici successivi: la chiarificazione di aspetti controversi del rapporto soggetto-oggetto, come il problema del tempo, non conoscerà più grandi evoluzioni, ma più spesso involuzioni, proprio perché il lavoro di Hegel cristallizzò un pervasivo dogma storicistico che invece di sradicare l’errore introdotto dal cristianesimo (la rappresentazione lineare del tempo) lo solidifico e fece penetrare fino alle ossa della civiltà occidentale. Il suo schema di contraddizioni, espresso in un linguaggio che dava adito a facili fraintendimenti, e riempito di concetti astratti da ogni contributo empirico, e quindi privi di senso, permise ogni genere di perversioni della logica e di perdite di rigore. Il ruolo sociale del filosofo ne fu devastato.

E come se non bastasse, il contributo filosofico significativo di Hegel era probabilmente lì lì per venire comunque, col suo aiuto o senza. In Hegel non c’è poi molto di nuovo, se non il primo riassunto coerente (anche se sbagliato in più punti) di quanto la filosofia avesse da dire fino ad allora. Dopo Fichte DOVEVA arrivare un Hegel che portasse a conclusione il percorso intellettuale dell’idealismo. Purtroppo,  di tutti i possibili Hegel, ci capitò proprio quello che forse fece più danni in assoluto.
Personalmente, io sento di concludere che Hegel sia stato una sorta di figlio deforme della filosofia. È mostruoso, ma è pur sempre suo figlio legittimo. Soltanto, dico io, sarebbe arrivato il momento di riconoscerne i meriti veri, gli errori veri, e passare oltre. Definitivamente.

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[1] La sinistra hegeliana tenterà di sfruttare la struttura di base hegeliana per la formazione di nuovi contenuti. Un progetto lodevole, che proprio per questo fa apparire estremamente grave il suo colossale fallimento.



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