Hell's Bells
Creato il 22 agosto 2012 da Theobsidianmirror
Il tempo non fu mai clemente in quella lontana estate del 1968. Il cielo sopra Scotswood, il quartiere dove vivevo, era spesso coperto. Grossi nuvoloni carichi di pioggia nascondevano ai miei occhi, per buona parte del giorno, la vista del sole. Un’estate così non era tuttavia cosa rara nel mio paese. Non ho mai potuto godere di una vera estate così come la vedevo descritta nelle riviste. Ma a me tutto sommato non importava. Non ho mai sopportato il caldo. Solo mi auguravo che smettesse di piovere. La pioggia rende difficoltose le normali attività quotidiane, specie se non si possiede un ombrello. I capelli bagnati, le scarpe fradice, non sono sensazioni piacevoli. L’oscurità, quella sì, invece mi piaceva. No, non sto parlando della notte, mi riferisco a quella particolare oscurità che solo una spessa coltre di nubi può provocare. Niente sole negli occhi, niente riflessi sui vetri. Con la pioggia però tutto è meno, come dire, romantico. La gente si affretta per le strade, senza badare al prossimo, nessuno si perde in saluti, magari un breve cenno col capo e poi via ad inseguire le proprie faccende. Newcastle era una città sporca. Non per niente deve la sua notorietà alle proprie miniere di carbone, che ne permisero lo sviluppo a partire dal secolo scorso. Tra tutti i quartieri della città, Scotswood era forse quello più degradato. Qui si installarono le famiglie dei minatori, prima, e quelle degli operai del cantiere navale in seguito, quando le miniere si esaurirono. La gente era povera, disperata. Si sopravviveva a stento, spesso si ricorreva ad espedienti non esattamente legali. E poi c’erano le prostitute...Il mercato del sesso era fiorente: giovani donne, signore di mezza età, vecchie sdentate. Ce n’era per tutti i gusti. I clienti spesso venivano da fuori, altre volte erano invece i più insospettabili padri di famiglia a venire sorpresi in atteggiamenti inequivocabili con la professionista di turno. Mia madre era una prostituta. Si chiamava Betty, la bastarda. Era malvagia. Quante me ne ha fatte passare. Ma avrebbe pagato, un giorno, oh sì, avrebbe pagato caro. C’era il Male, quello con la M maiuscola. Se ne poteva respirare l’odore nell’aria. Tutti erano malvagi. Tutti erano dediti soltanto ai propri affari. Io però, nel mio piccolo, ero una specie di celebrità a Scotswood. Per qualche motivo a me ignoto la gente mi salutava cordialmente, regalandomi spesso ampi sorrisi. Non ne ho mai capito il motivo. Non ho mai ricambiato i loro sorrisi. Anzi, spesso voltavo lo sguardo, dimostrando loro tutto il mio disprezzo. Era più forte di me. L’odio aveva fatto di me una persona cattiva. Ma coloro che odiavo di più erano i bambini. Piccoli insignificanti mocciosi. Stupidi. Mi prendevano in giro, si divertivano a schernirmi, per via credo della mia indole solitaria. Un giorno mi gettarono addirittura in testa una busta piena d’acqua. Approfittavano della mia debolezza. Ma era solo apparenza. Fu in quei giorni che prese forma in me la consapevolezza che avrei dovuto fare qualche cosa. Ci furono dei delitti che resero Scotswood celebre come “The Horror District”. E quei delitti erano stati opera mia.
Era la mattina del 23 maggio 1968 quando iniziai il mio lavoro. La mia prima vittima si chiamava Martin Brown: era un antipatico moccioso di soli 4 anni, non aveva particolari colpe per le quali avrebbe dovuto pagare, ma ben presto sarebbe cresciuto, sarebbe diventato come gli altri, e allora tanto valeva impedirgli di crescere. Oltretutto nutrivo un malcelato risentimento nei confronti del sig. Brown, suo padre, il che mi diede la scossa per agire. Lo vidi giocare nel giardino di casa, era solo. Mi avvicinai e lo salutai con uno dei miei migliori sorrisi. Non c’era nessuno nelle vicinanze. La signora Brown era probabilmente intenta nei lavori domestici e non badava al suo nanetto. Così in un attimo presi per mano il piccolo Martin e lo portai via con me. Non aveva motivo di resistermi, mi conosceva bene. Tutti mi conoscevano bene in quartiere. Camminammo lungo la strada per qualche centinaio di metri, poi svoltammo in una stradina laterale, al riparo da sguardi indiscreti. Martin era allegro, io gli raccontavo delle storie divertenti e lui rideva. C’era una casa diroccata poco più in là, sulla strada per la collina, dove si diceva che in passato fossero stati avvistati degli spettri. Proposi a Martin di andare a visitarla. Ne fu felice. La casa era in condizioni disastrose, credo fosse addirittura pericolante. Probabilmente non fu una buona idea, ma eravamo lì e tanto valeva esplorarla. L'interno faceva schifo: l'odore di piscio era talmente intenso che dava alla testa, bottiglie di birra vuote sparse ovunque, mozziconi di sigaretta. C'erano anche un paio di materassi sfondati e, più in là verso la parete, un vecchio sedile posteriore di automobile che qualcuno aveva evidentemente utilizzato come divano. Questo luogo doveva essere un ritrovo notturno per adolescenti in vena di eccessi, pensai. Martin però ben presto diventò irrequieto. Aveva paura. Voleva tornare a casa. Lo costrinsi con la forza a salire con me al primo piano. Era affascinante. Chissà chi ci aveva abitato. Mi guardai in giro: c'era ancora una vecchia cassapanca sotto la finestra - ovviamente qualcuno si era già preoccupato di curiosarci dentro - e una lampada, con il cavo elettrico ancora inserito nella presa a muro. Martin divenne sempre più apprensivo, cominciò a piangere. Cercò di fuggire. Fu allora che lo strangolai.
Il corpo di Martin venne trovato solo qualche settimana più tardi. Gli investigatori trovarono accanto a lui un flacone vuoto di medicinali e decisero di archiviare il caso come incidente. Che caso fortunato! Un flacone di medicinali abbandonato da chissà chi proprio là dove io avrei poi lasciato il cadavere. Mi sentivo invincibile! Tant’è che volli raccontare tutto alla mia amica Norma. Sapevo quello che facevo. Norma Bell era completamente pazza. Era totalmente succube della mia personalità. Faceva senza discutere tutto quello che le dicevo. Era accondiscendente in tutto e soprattutto era discreta. Credo fosse innamorata di me, anche se sicuramente non era in grado di provare nulla che si possa nemmeno lontanamente definire amore. Il suo cognome era Bell, come il mio, ma non eravamo parenti. Era solo un’altra coincidenza, un segno del destino. Norma si eccitò enormemente quando le raccontati tutto. Disse che voleva che accadesse di nuovo e che avrebbe voluto essere presente. Naturalmente nulla al mondo viene fatto per nulla. Se voleva entrare nel gioco, avrebbe dovuto esaudire una mia richiesta. Avrebbe dovuto, in caso di necessità, scagionarmi, autoaccusandosi del primo delitto. Norma era completamente pazza e acconsentì alla mia incredibile richiesta. Ma avevo in mente per lei diversi altri compitini. La notte seguente, per esempio, ci recammo all’asilo comunale. Non fu difficile per lei intrufolarsi da una delle tante finestre dissestate. Lo scopo era di lasciare un “saluto” ai nostri concittadini. Quale miglior posto di un asilo per comunicare al mondo i nostri propositi? Norma aveva scritto un biglietto di suo pugno: “Martin Brown è stato il primo. Altri ne cadranno”. La polizia non prese sul serio il nostro avvertimento. Evidentemente lo ritenne lo scherzo di qualche buontempone. E fece male.
La scelta della seconda vittima avvenne per caso. Era da qualche giorno che stavo tenendo d’occhio la piccola Susan, una boriosa biondina che mi aveva guardato storto qualche giorno prima. Stavo quasi per prelevarla, ma all’ultimo dovetti desistere per via dell’intervento del padre. Aveva visto il mio volto e sarebbe diventato pericoloso. La scelta ricadde quindi su Brian Howe, 3 anni. Fu come detto una scelta dettata dal caso. Norma ed io stavamo passeggiando per il parchetto di fronte alle scuole quando, inaspettatamente, notammo che il piccolo Brian era sfuggito alle attenzioni della madre, forse distratta dalla conversazione con un'altra signora. Quale migliore occasione? Ci avventammo sul piccolo come due squali e lo trascinammo via con noi. Fu non senza fatica che riuscimmo a raggiungere, senza dare nell’occhio, la discarica comunale. Lo strangolai immediatamente. Norma dal canto sua era eccitatissima. Guardava e rideva, saltellava divertita e batteva le mani come una forsennata. Io volevo solo andarmene alla svelta. Stupida pazza. Non avrei mai dovuto coinvolgerti. La colpii con una pietra. Quando vide il proprio sangue sgorgare dalla ferita si tranquillizzò. Anzi si trasformò, diventando improvvisamente metodica, addirittura. Ecco, quella era la Norma che mi piaceva! Le passai il rasoio che avevo portato con me. “Firma!” le dissi, e lei incise con la lama una grossa “N” sul petto di Brian. “Non così, stupida!” urlai. Le presi di mano il rasoio e trasformai la N in una grossa M. Dopodiché tagliai una grossa ciocca di capelli al cadavere del bambino. Ma c’era un’altra cosa da fare prima di dichiarare concluso il lavoro. Una cosa a cui stavo pensando da diverso tempo, un pensiero che mi tormentava, che non mi faceva dormire la notte. Abbassai le mutandine di Brian. Il tempo si fermò. Trascorsero pochi secondi che però mi sembrarono un’eternità, quindi calai il rasoio e colpii con tutte le mie forze.
Mary Flora Bell (26 maggio 1957) è passata alla storia per essere stata una delle più feroci serial killer britanniche, con una particolarità che la rese unica: quando compì i suoi omicidi aveva solo 11 anni! Mary Bell è ricordata per aver ucciso nel 1968 due bambini, Martin Brown (4 anni) e Brian Howe (3 anni). Quello che avete appena finito di leggere non è una ricostruzione ufficiale degli avvenimenti, bensì un mio dilettantesco tentativo di narrare, sotto forma di racconto, i fatti dal punto di vista dell’omicida. Ho preso solo gli aspetti salienti, così come riportati dalla cronaca, come linee guida e mi sono divertito a dipingerne i contorni. Beh, divertito forse non proprio è la parola adatta. Alcuni passaggi, specialmente il finale, sono stati davvero ostici. Non è facile immedesimarsi in qualcuno capace di simili odiose atrocità. Se quello che avete letto è, a modo suo, fiction, quello che segue invece è la pura cronaca, così come la si può trovare sulle migliaia di siti internet che si sono dedicati al caso di Mary Flora Bell.
Mary Bell crebbe nello Scotswood, un'area molto povera e per questo violenta di Newcastle upon Tyne, nel nord est dell’Inghilterra. Betty Bell era una prostituta, spesso assente da casa poiché lavorava a Glasgow, che diede alla luce Mary alla giovane età di 16 anni. Il padre biologico di Mary è tutt'oggi sconosciuto, ma per molto tempo la bambina riconobbe come genitore Billy Bell, un criminale arrestato più volte per furto di armi, che sposò la madre mentre era incinta di lei. Voci non confermate dicono che più volte Betty cercò di uccidere la figlia, cercando di infliggerle una morte che sembrasse il più naturale possibile, durante i primi anni di vita. Certo è, invece, che la madre la obbligasse ad avere rapporti sessuali con uomini maturi fin quando lei aveva solo 5 anni. Come risultato la bimba si comportò fin da piccola in modo violento, picchiando i compagni di classe e compiendo atti vandalici. Mary Bell decise di uccidere Martin Brown, strangolandolo, il 25 maggio 1968, quando il bimbo aveva appena 4 anni. Il 31 luglio 1968, con la sua amica Norma Bell uccise il piccolo Brian Howe, ancora per strangolamento. Inoltre incisero post mortem una "M" sullo stomaco del bambino, gli tagliarono una ciocca di capelli e anche i genitali. Mary Bell fu condannata all'ergastolo per duplice omicidio colposo il 17 dicembre 1968 e quindi affidata a cure psichiatriche. Norma Bell fu ritenuta innocente e scagionata. Nei momenti successivi alla condanna, la madre di Mary iniziò a rilasciare ogni tipo di dichiarazioni sulla figlia, guadagnando cospicue somme di denaro dalle televisioni e dai giornali.
Mary fu scarcerata nel 1980 e poté, grazie all'anonimato assicuratogli dallo Stato, iniziare una nuova vita assieme a sua figlia, nata nel 1984. Per un periodo visse a Cumberlow, nel South Norwood (in una casa costruita dall'architetto vittoriano William Stanley). La figlia rimase all'oscuro del passato della madre finché un reporter non scoprì dove abitavano. A causa di ciò furono costrette ad abbandonare la loro casa precipitosamente, nascondendosi sotto delle lenzuola per evitare i flash dei fotografi accorsi sul luogo. L'anonimato della figlia fu protetto finché ella non compì l'età di 18 anni. Tuttavia, il 21 maggio 2003 Bell vinse una battaglia legale perché l'anonimato per lei e sua figlia fosse esteso a vita. Mary Bell è stata il soggetto di due libri di Gitta Sereny: The Case of Mary Bell (1972), una descrizione degli omicidi, e Cries Unheard: the Story of Mary Bell (1998), un’accurata biografia basata su interviste a Mary Bell e a parenti, oltre che ad amici e compagni di detenzione. Questo secondo libro è stato il primo a descrivere la vita sessuale della madre, una prostituta specializzata nel ruolo di dominatrice in rapporti sadomaso. La pubblicazione di Cries Unheard fu controversa, poiché la Bell fu pagata per la sua realizzazione. Alcuni tabloid e il governo di Tony Blair cercarono di trovare un cavillo legale per impedire che un criminale potesse trarre profitto dal racconto di un suo delitto, ma senza successo. Il caso della Bell fu utilizzato come base per un episodio del 1999 del telefilm Law & Order - I due volti della giustizia intitolato Killerz. Mary Bell fu interpretata dall'attrice Hallee Hirsh. Nel 2009, all'età di 51 anni, Mary Bell divenne nonna. La protezione dell'anonimato è stata estesa anche per la nuova arrivata.
Per chi vuole approfondire il caso, consiglio la consultazione di questo sito, che include diversi particolari che non hanno trovato spazio in questo blog. Se conoscete l'inglese, invece, posso invitarvi alla visione di un documentario della BBC, postato su YouTube, la cui prima parte potete trovare qui di seguito.
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