Speciale: Omaggio a Zagor: analisi e tributi
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Gli anni ’80 si ricordano come un periodo editoriale non particolarmente felice per Zagor, testimone suo malgrado di una netta diminuzione del proprio pubblico.
La perdita progressiva di un certo tipo di eroismo, conferito al personaggio da Guido Nolitta, non può essere additata come unica causa di quello che oggi è ricordato come “Medioevo Zagoriano” ma è comunque una delle principali. Va inoltre sottolineato che non è stato facile per gli sceneggiatori subentrati a Sergio Bonelli raccoglierne l’eredità, né si può negare che abbiano realizzato anche ottime storie ma la maggior parte di esse resta lontana dai livelli di coinvolgimento garantiti in precedenza.
E’ negli anni ’90, che le avventure dello Spirito con la Scure si rivitalizzano con il lavoro del duo Boselli/Burattini e tornano a riscuotere diversi apprezzamenti. Tuttavia, già nel 1988, i quasi cinque albi e mezzo che compongono Incubi, quinto capitolo hellingeniano, riescono a dare una scossa notevole alla serie.
Merito di Tiziano Sclavi che insieme a un Gallieno Ferri in forma strepitosa, firma la sua ultima storia per la collana Zenith Gigante (l’ultima in assoluto per Zagor è lo speciale Horror Cico del 1990).
Un’opera complessa
Sclavi non si limita ad aggiungere un nuovo tassello alle imprese dello scienziato pazzo ma crea un’opera più complessa.
L’idea è di accompagnare il protagonista lungo un percorso che lo porta agli antipodi dello “Zagor nolittiano”. Una sorta di particolare what if che se da un lato può considerarsi drammaticamente affascinante, dall’altro sembra voler essere l’emblema di un decennio in cui le caratteristiche peculiari dell’eroe sono andate sbiadendo. Come se l’intento fosse di accentuare la scomparsa di quelle caratteristiche, arrivando persino alla loro negazione.
Si potrebbe obiettare che mancano alcuni nessi logici mentre qua e là ci sono alcune esagerazioni e ingenuità ma, giunti all’ultima pagina, la sensazione che rimane è di aver letto qualcosa che allo stesso tempo è estremamente personale ed estremamente zagoriano. Una dimostrazione dell’inventiva e della capacità affabulatrice di Sclavi ma soprattutto una testimonianza della conoscenza e del suo affetto per lo Spirito con la Scure.
Analizzando la storia, si nota che la struttura narrativa è simile alla “scaletta nolittiana” anche se con delle varianti.
La fase iniziale – chiamiamola “del mistero” – è rispettata, perché Zagor comincia ad essere colpito da strane allucinazioni dietro alle quali è scontato che ci sia il mad doctor. Come da prassi però non lo comprende subito e subisce un tormento incessante che lo mette a dura prova facendolo dubitare del proprio raziocinio.
L’entrata in scena di Hellingen dà il via al suo “monologo”, ma senza che i due nemici siano nelle classiche posizioni di prigioniero e
Dunque nessuna delirante spiegazione su ancor più deliranti piani di conquista, niente pose o scatti da pazzo invasato, ma una pacata narrazione che trasmette l’ansia e la meraviglia per le scoperte e le nuove conoscenze acquisite. È proprio con esse che è riuscito a trovare il modo di tornare sulla Terra, abbandonando quel luogo per lui così appagante ma anche così misterioso.
Il grande e potente Hellingen
Tanto è tranquillo Hellingen mentra parla, quanto è nervoso Zagor nell’ascoltarlo. Una scena che insieme al lungo flashback del racconto, è un tentativo, del tutto nuovo, di elevare lo scienziato pazzo dal suo status di “macchietta” da fantascienza degli anni ’30.
Renderlo capace di sostenere una normale conversazione, oppure aggiungere piccoli dettagli come il sapersi gustare un’acquavite porta dallo stregone Akoto (anch’esso lì presente) contribuisce ad approfondirne la personalità ed è curioso che sia Zagor, con la sua agitazione, a fare invece la figura dell’inadeguato.
Non che il nostro abbia poi torto ad essere teso, perché al termine della tregua comincia un scontro che lo vede in insolita difficoltà sul piano fisico. L’avversario dimostra infatti un vigore mai posseduto in precedenza e poteri soprannaturali.
Ma ecco che proprio quando sta per vincere arriva il primo, grande colpo di scena della storia: crivellato dai colpi di pistola di Cico, Perry e dei loro alleati Ottawa accorsi in aiuto, muore sotto gli occhi dei suoi avversari. Morto e poi sepolto, senza l’incognita sulla sua sorte garantita da crolli di laboratori o grotte che ne impediscono il ritrovamento del cadavere.
Zagor rimane sorpreso, quasi impreparato nel vederlo spirare davanti a sé, come pure accade al lettore che non può ancora immaginare la portata degli eventi successivi, così shockanti ed emozionanti.
La Passione di Zagor
E’ la fase “della sofferenza” che Nolitta utilizzava per aumentare lo svantaggio dell’eroe e che Sclavi, andando oltre, adopera per smontarlo pezzo dopo pezzo, caricandogli sulle spalle tragedie a catena.
Il buon messicano è un “comico da fumetto” e agli esordi era quasi una specie di Paperino. Anche Sclavi nella prima parte di Incubi gli riserva scenette molto divertenti ispirate da una surreale ironia, eppure ciò non evita a Cico di essere inglobato, come altri comprimari, in un’angosciante atmosfera da fine dei tempi e quindi di perire con drammatico realismo di fronte al compagno di tante imprese.
Sì perché Zagor, trascorse alcune settimane dalla morte di Hellingen, rimane sconvolto nello scoprire il massacro delle tribù di Darkwood. Una tragedia che sancisce il fallimento del suo operato di giustiziere, portandolo ad abbandonarsi all’ira e a schierarsi a favore degli indiani contro i soldati e, a sua insaputa, contro gli amici più cari. Il risultato è una carneficina insensata, peggiore di quella commessa in gioventù quando, accecato dal desiderio di vendetta, aveva compiuto una strage di innocenti.
Proprio il rimorso per un atto tanto scellerato l’aveva spinto a dedicare la vita alla difesa della pace, con l’impegno a non ripetere mai più lo stesso errore.
Traumatica e inimmaginabile la morte di Zagor, tenendo conto di come è avvenuta e del tipo di fumetto che rappresenta. Parliamo di un’opera destinata ad intrattenere col sorriso secondo le intenzioni di Guido Nolitta il quale non disdegnava di usare atmosfere di tensione o finali agrodolci ma comunque dava sempre importanza a un messaggio positivo da trasmettere. Per questo aveva collocato lo Spirito con la Scure al centro di un’utopia chiamata Darkwood, dove la convivenza tra indiani e bianchi, seppur non priva di problemi, conservava un equilibrio fuori dal tempo.
Sclavi invece completa una tabula rasa che, oltre all’inevitabile stupore, fa sorgere di primo acchito domande quali: l’autore ha voluto stupire andando oltre misura? E Sergio Bonelli come può aver autorizzato una deriva così netta dalla strada maestra?
La riscossa dell’eroe
La risposta che fuga ogni perplessità a mio avviso è semplice e sorprendente, perché è vero che i topoi zagoriani vengono cancellati, come a scorrere uno straccio su una lavagna, ma nel momento stesso in cui ciò avviene, essi tornano ad essere evidenziati.
Togliendo, in successione, al re di Darkwood, il suo regno, lo scopo della vita e gli ideali, Sclavi di fatto rimarca qual è quel regno, quali sono lo scopo della sua vita e i suoi ideali. Quello che sembra un allontanamento da Nolitta ne è invece una riscoperta e la prova sta nella parte conclusiva di Incubi quando finalmente prende il via la fase “della riscossa” in cui la prima cosa da fare è rimettere a posto il mondo capovolto di Zagor.
Per riuscirci l’autore ricorre a due espedienti. Il primo è un riavvolgimento del tempo ottenuto grazie alla magia dello stregone Akoto che dona la vita affinchè Zagor si riprenda la propria. Un sacrificio “necessario” sia per risolvere la situazione, sia per dare quel retrogusto amaro alla vittoria finale dell’eroe che piangerà la morte dell’amico. Un ultimo passo lungo la strada del dolore, come già era accaduto con la morte di Keokuk, ai tempi degli Akkroniani di Nolitta.
Il secondo espediente è l’introduzione del concetto di multiverso: si scopre che tutti gli eventi luttuosi susseguitisi non sono accaduti nella solita Darkwood ma in un’altra foresta di un’altra dimensione dove Hellingen ha trasportato Zagor a sua insaputa. A fare queste rivelazioni è Kiki Manito ovvero il Grande Spirito in persona a cui Slavi, assistito da Ferri, conferisce l’aspetto di un bambino indiano.
Se da una parte l’introduzione nella serie di dimensioni parallele o linee temporali alterate può considerarsi un rischio, a causa di un possibile abuso che se ne potrebbe fare in sceneggiature future, dall’altra va interpretata la scelta di Sclavi come un una tantum. Un escamotage funzionale all’opera di decostruzione e ricostruzione del protagonista la cui riuscita rende perdonabile anche l’innegabile difficoltà a comprendere come e quando si siano svolti tutti questi passaggi da una dimensione all’altra. Del resto confondere il lettore e non fornirgli sufficienti indizi per distinguere bene la realtà, è sempre stata una caratteristica peculiare di Sclavi.
Kiki Manito
Piuttosto vale la pena soffermarsi sulla figura di Kiki Manito: con esso viene introdotto nella continuity zagoriana l’elemento “divino” sottoforma di personaggio vero e proprio.
Infatti, durante il suo momentaneo trapasso, il protagonista si ritrova a tu per tu con quel Grande Spirito da cui ha sempre dichiarato di essere stato inviato. Un finto rapporto tra eroe e divinità che Nolitta aveva inserito per accrescere il mistero intorno alla figura del suo giustiziere e fargli così guadagnare un maggiore carisma che lo aiutasse a mantenere la pace tra i superstiziosi indiani. Una bugia a fin di bene, trattata non senza ironia e divertimento, come dimostrano le fantasiose invenzioni da saltimbanco messe in pratica da Zagor per farsi credere uno spirito e che il nostro, ancora oggi, ogni tanto tira fuori.
Sclavi invece mette davvero in contatto l’eroe con Manito rendendolo, se non un inviato, per lo meno un (quasi) prediletto del Grande Spirito. Il tutto senza rinunciare a una dose di personale ironia, perché Kiki è sì saggio e giusto, ma è anche un po’ capriccioso e irriverente con lo Spirito con la Scure. Nessuna malizia però, anzi, probabilmente, c’è anche la bonaria intenzione da parte dell’autore di usare il personaggio per rompere la quarta parete e rivolgersi direttamente a Zagor e ai lettori.
La redenzione di Hellingen
Proprio ciò che accade in Incubi attraverso il duello decisivo tra Zagor, tornato in vita, e Hellingen, anch’esso uscito dalla tomba.
«Tutta la tua scienza non ti è bastata a capire che quel giorno, quando ti chiudesti nella cabina akkroniana, era davvero la fine! Sì ti compiango! Ho pietà per il piccolo, meschino uomo che eri! Tanto pazzo da non voler ammettere di essere morto!»
La scena, pregna di un pathos altissimo, dirada infine la nebbia sui misteri della vicenda. Hellingen non è mai tornato veramente e la prima vittima delle sue illusioni è egli stesso, talmente ossessionato dalla vendetta da non accorgersi o non voler accettare di essere ormai soltanto un fantasma. Perciò, nel momento in cui diventa conscio della propria condizione, i suoi poteri si dissolvono come i sogni al risveglio
E all’uomo Hellingen, cui Sclavi dona uno straordinario spessore, non resta che la disperazione, rievocata nel dolore e nella solitudine della morte oltre che nel rimpianto di quella favolosa astronave. Un giocattolo che Kiki Manito aveva creato per lo scienziato, come una sorta di Paradiso personale dove avrebbe potuto appagare in eterno la sua fame di sapere. Un’occasione che non è stata colta da un super-villain che ora, vecchio e stanco, mostra tutta la sua reale debolezza, non più guidato dal rancore ma dal rammarico e dalla speranza di potersi riappropriare di quella pace rifiutata. Ed è proprio il suo avversario che, non considerandolo più una minaccia, lo aiuta a passare “oltre” in un atto conclusivo molto toccante.
La leggenda di Zagor
«Così svanirono i mondi del sogno, alla luce del sole…e nel sole rimase un solo gigante…Zagor, lo Spirito con la Scure»
Così racconta il vecchio indiano.
Quale vecchio indiano? Ma quello che Sclavi immagina narrare a dei bambini le gesta dei personaggi mentre esse si svolgono!
C’è il mondo dell’anziano indiano che da vita anch’egli a Zagor nel momento in cui ne parla e che, come quest’ultimo, “esiste” solo quando noi lo leggiamo. Infine c’è Zagor e la sua ritrovata Darkwood originale con gli amici vivi e nessuna drammatica guerra in quanto, come detto, tutte le tragedie vissute a causa di Hellingen sono accadute in un altro mondo ancora.
Si può giustamente affermare che Sclavi non solo riconsegna al protagonista la propria epicità ma trova il modo di farlo assurgere a mito o leggenda, pur sempre nella finzione di quella che senza dubbio è la più controversa e complessa storia di Zagor e che da oltre vent’anni unisce e divide i suoi appassionati.
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