Si racconta che abbia molto sofferto per gli scherzi dei suoi compagni di università ad Harvard, Henry Kissinger. Questo, poi, non gli impedì di diventare quel che diventò. Un temperamento ordinario, affetto da un complesso di superiorità per niente dissimulato. Ed anche un playboy. Un playboy e un sorta di mostro politico che stimolava la propria libido bombardando la Cambogia o liquidando Allende, oppure, ancora, preparando un colpo di stato a Cipro. Ma anche un esperto d'arte. Un disgusto pusillanime - come l'ha definito qualcuno - insomma, il tipo di persona che è passata indenne attraverso il XX secolo e che sopravvive, ancor'oggi, a quasi novant'anni.
Ed è di non troppi mesi fa, il suo libro, un grosso volume dal titolo "Cina". Un vero e proprio evento editoriale, dicono.
All'inizio del XX secolo, Ernest Lavisse aveva sentenziato che "la possibilità di guidare la storia non è una proprietà perpetua", e aveva indovinato che "l'Europa, che l'ha ereditata dall'Asia, dopo tre millenni, non potrà conservarla per sempre."
Gli eventi politici succedutisi durante il secolo scorso sembrano puntare verso il tramonto dell'occidente, il tutto in una sorta di metafora che coincide con la rotazione della Terra: dall'impero britannico agli Stati Uniti - dopo decenni di litigio con il socialismo sovietico - ed ora è la Cina ad esser diventata uno dei candidati più promettenti a raccogliere il testimone. Nella sua "Rivendicazione della politica", l'europeista Javier Solana ha scartato il concetto di "fine della storia" e parla invece del principio di "un'altra storia": "quella di un mondo più disoccidentalizzato con un centro di gravità che si sposta dall'Atlantico verso il Pacifico".
In quanto "bastione del comunismo", la Cina solleva, nei confronti dell'occidente, la questione di cosa fare a fronte di uno stato il cui sistema di produzione - basato principalmente sulle esportazioni dei propri cittadini - considererebbe qualsiasi industriale britannico del XIX secolo come un uomo pieno di scrupoli, uno stato che si pone come "banchiere del mondo" (c'è il suo contributo al piano di salvataggio durante la crisi, parallelamente alla crescita di Brasile, Russia ed India) e i cui tentacoli raggiungono posti come Congo, Kazakhistan, Angola, Venezuela e Vietnam, ed ha uno "spirito proletario" che sottomette qualsiasi eventuale interesse personale alla volontà (o alle velleità) della nazione. Ragion per cui, ogni approccio al gigante asiatico deve essere assoluto, e deve incorporare elementi culturali, storici, politici ed economici; questa è la proposta che Kissinger sembra fare nel suo libro.
A partire dal confucianesimo e dalla realpolitik di Sun Tzu, Kissinger vede la Cina come un paese che da sempre ha preferito la discrezione e l'indipendenza nel contesto internazionale, "non ha mai avuto contatti continui con un altro paese, su base di uguaglianza, per la semplice ragione che in nessun momento ha coinciso con un'altra cultura, o società, di grandezza paragonabile (...) Come gli Stati Uniti, la Cina ritiene di dover esercitare una funzione speciale. Non ha mai propugnato, senza dubbio, l'idea di universalismo americano, in modo da diffondere i suoi valori in tutto il mondo."
E ci sono stati gli anni della Guerra Fredda, quelli che meglio esemplificano questa filosofia, che hanno visto la Cina rivaleggiare con Stalin, in quanto alternativa socialista, fuori dal Patto di Varsavia, condividendo i sospetti degli Stati Uniti a proposito dei movimenti dell'URSS, e c'è stato un istrionico Mao che non sembrano troppo intimidito dalla minaccia nucleare; anzi, al contrario, sembrava deciso a sottolineare le sue virtù, affermando che: "Non abbiamo bisogno di agitare bombe nucleari e missili. La guerra scoppia quando scoppia, convenzionale o termonucleare, e noi la vinceremo. Per quanto riguarda la Cina, se gli imperialisti scateneranno una guerra contro di noi, siamo in grado di perdere più di trecento milioni di persone. Quanto è importante? La guerra è guerra. Passeranno gli anni, ci metteremo a lavorare e faremo più figli rispetto a prima. "
Quest'anno ci sarà il rinnovo del 70% del Comitato centrale del Partito comunista cinese, e questo avverrà per mezzo di una nuova generazione di politici che, per la prima volta dal XIX secolo, hanno conosciuto la pace nel paese e non sono passati per la Rivoluzione Culturale di Mao. Un evento che ha luogo dopo due decenni di splendore economico nazionale, dieci anni dopo l'adesione all'OMC, e nel mentre che un Occidente decadente teme la futura influenza di questa eleggibile Repubblica popolare. Non è banale, segnala Kissinger, il fatto che la propaganda parallela ai recenti eventi olimpici di Pechino abbia avuto luogo un mese prima della caduta di Lehman. Il futuro internazionale, per Kissinger, è paragonabile alla situazione dell'Europa nel periodo che si situa fra l'unificazione tedesca del 1871 e la prima guerra mondiale, con la rivalità tra Gran Bretagna e Germania agli inizi del XX secolo, che equivale alla rivalità fra Cina e Stati Uniti, oggi. Con la differenza che "Stati Uniti e Cina non sono stati tanto Stati nazionali, quanto espressioni continentali di identità culturali. I due sono stati storicamente spinti da idee di universalità per i loro successi economici e politici e per l'energia incontenibile e per la fiducia del loro popolo".
La sua speranza, tuttavia, è quella di un G-2:" Quale migliore conclusione se (...) Stati Uniti e Cina potessero unire i loro sforzi, non per scuotere il mondo, ma per elevarlo".
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