Henry Mayhew. Il lavoro e i poveri nella Londra vittoriana

Creato il 26 agosto 2012 da Emilia48

Quando, nel febbraio di quest’anno, scrissi un post sul doppio bicentenario della nascita di Charles Dickens e Henry Mayhew che ricorre per entrambi quest’anno, lamentavo che l’opera di Mayhew fosse rimasta sconosciuta in Italia, nonostante la sua importanza e la sua originalità. Molto infatti si deve a Mayhew  per comprendere la vera essenza della società vittoriana, oltre che per una nuova lettura dell’opera di Dickens. Poco tempo dopo sono stata contattata da Mauro Cotone, che molto gentilmente mi ha informata della prossima uscita, presso Gangemi Editore, di una sua traduzione di alcune parti della sterminata ricerca di Mayhew, dal titolo Il lavoro e i poveri nella Londra vittoriana. 

Questa notizia mi ha fatto molto piacere, perché, nonostante la sordità di molti degli editori italiani di fronte a opere di grandissimo valore tanto culturale che letterario, Mauro Cotone ha colto l’occasione di questo bicentenario per far conoscere l’opera singolare di questo personaggio singolare.

Charles Dickens e Henry Mayhew nacquero entrambi a Londra ed entrambi nel 1812 ed entrambi avrebbero avuto un ruolo decisivo come scrittori nella cultura vittoriana, seppure in modo diverso.  Non solo si conoscevano, ma l’opera di Dickens fu fortemente influenzata da quella di Mayhew, anche se in Italia non lo sa nessuno.

Mayhew ebbe una vita movimentata ed avventurosa. Da ragazzo fuggì da scuola e si imbarcò su una nave diretta a Calcutta. Visse lontano dall’Inghilterra alcuni anni, tornò, divenne avvocato, iniziò a scrivere come giornalista  e fu uno dei due fondatori del gloriosissimo Punch. Scrisse romanzi di successo, commedie e articoli, ma il suo nome, famosissimo, è legato a un’opera che precorre si molto i tempi, sia per l’oggetto che per il modo in cui fu redatta. Parlo di London  Labour and the London Poor,pubblicata prima in tre volumi nel 1851 e successivamente in quattro volumi nel 1861-62, che raccolgono  l’enorme mole di materiale pubblicato negli anni precedenti sotto forma di  articoli sul Morning Chronicle.

Come tutti sanno, le opere di Dickens costituiscono un affresco spesso terribile della Londra vittoriana.  La vita miserabile dei poveri, gli orrori delle case di lavoro o dei vicoli del West End, lo sfruttamento del lavoro minorile, l’abbrutimento, le malattie e della mancanza di ogni servizio sanitario per i diseredati, fanno a volte credere, al lettore che non possegga una conoscenza più approfondita degli strati più deprivati della società vittoriana, che Dickens abbia calcato la mano. Ma è vero l’opposto.

Dickens aveva una conoscenza diretta delle durezze di quel mondo, poiché da bambino, insieme  alla sua famiglia aveva dovuto sopportare un anno di internamento in una prigione per debitori a causa dei rovesci economici del padre.

Ma la vera fonte del materiale che Dickens usa per la sua rappresentazione di una società feroce e impietosa con i meno fortunati, è questa incredibile opera di Mayhew.

Prostituzione. Illustrazione originale del testo di Mayhew 

Jack Black, Her Majesty’s ratcatcher. Ill. originale nel testo.

Acquistai una copia anastatica dell’opera di Mayhew quando molti anni fa vivevo a Londra e la lettura di questo testo (la cui traduzione italiana avevo più volte proposto senza che alcun editore ne prendesse alcuna nota, tanto per cambiare) mi lasciò senza parole. Man mano che leggevo, ritrovavo la Londra di Dickens, i suoi personaggi, le sue atmosfere e mi permise finalmente di trovare una chiave di lettura molto più profonda dello scrittore che è tra quelli che amo di più in assoluto. Uno scrittore il cui mondo è un abisso di cui non si distingue il fondo.

La Londra del 1840 è una megalopoli popolata da una  ricchissima alta borghesia, da una ricca media borghesia,  da una nutrita middle class, da una enorme working class e da un’ancora più enorme folla di diseredati, di disoccupati e senza fissa dimora, spesso immigrati da ogni parte d’Inghilterra e d’Europa. Londra ha già l’aspetto e i problemi di una megalopoli contemporanea.

Mayhew è forse uno dei primi veri sociologi della storia, poiché nessuno prima di lui si era messo a girare con occhio di attentissimo osservatore e cronista per le strade di una grande metropoli dell’era industriale a scrutare, interrogare, classificare e annotare con precisione maniacale i mille lavori e mestieri con cui la gente dellaworking class e i poveracci sopravvivevano di giorno in giorno. Spazzacamini, mendicanti, venditori di cibo, proprietari di banchi del mercato, acquaioli, lustrascarpe, prostitute, ladri, borseggiatori, truffatori, lavandaie e persino imudlarks (gente che frugava tra i fanghi puzzolenti delle rive del Tamigi in cerca di oggetti) o quelli che raccattavano gli escrementi dei cani da vendere ai tintori di tessuti e  molto altro, sono sottoposti ad interviste (sì, proprio delle vere interviste) che poi, nel quarto volume aggiunto, concorrono a fornirgli delle rigorosissime statistiche da lui maniacalmente redatte. Mayhew annota con rigore i gerghi usati dalle varie categorie, le espressioni tipiche, l’argot dei ladri e borsaioli, e poi le loro abitudini, gli stili di vita, i guadagni, le convinzioni religiose.

Dichiara di dividere la totalità dei poveri in tre distinte fasi della loro esistenza: quelli che lavoreranno, quelli che non possono lavorare e quelli che non lavoreranno.

Tutto annota e nulla sfugge. Ma l’aspetto davvero rivoluzionario, è che a un certo punto Mayhew ingaggia una serie di persone che vadano in giro per lui a sottoporre i suoi questionari e che istruisce rigorosamente sul metodo con cui intervistare le persone, come e quando e in che modo.

Le sue descrizioni delle scene di strada sono non raramente all’altezza di certe descrizioni dickensiane e infatti moltissimo del materiale che Dickens usa in Oliver Twist, Nichoals Nickleby, Our Mutual Friend per fare alcuni esempi è direttamente attinto da qui e ovviamente rielaborato.

Ora, questo sterminato materiale che Mayhew raccoglie e via via pubblica, corredato da grafici e statistiche, è rigorosamente organizzato, come in un universo ben strutturato, secondo categorie, mestieri, ruoli e funzioni. Vi si possono trovare le abitudini di vita, in tutte le loro sfumature, dei venditori ambulanti, i vari modi dell’arte di arrangiarsi, da chi borseggia a chi organizza combattimenti di ratti, da chi caccia nelle fogne a chi raccoglie oggetti fra i liquami. Poi c’è il mondo delle prostitute, dei ladri, dei truffatori, dei mendicanti, degli scrivani di strada e molto altro.

Uno degli aspetti problematici per il traduttore è, nell’incontro con l’opera di Mayhew, quello dei vari gerghi usati da molte categorie di personaggi. Mayhew stesso ce ne dà degli elenchi, ma comunque il lavoro di Cotone dev’essere stato di grande impegno, così come la ricchissima e informata introduzione che è premessa al libro, che permette anche al lettore che non abbia molta dimestichezza con la Londra vittoriana e con la nascita della società capitalistica, che nella Londra dell’epoca mostrava già tutti i suoi futuri sviluppi, di orientarsi perfettamente tra quei vicoli e quei personaggi, aiutato anche dalla riproduzione delle belle illustrazioni originali.

Da traduttrice riconosco il grande valore del lavoro di Mauro Cotone e mi auguro che questo libro straordinario, che raccoglie una miscellanea dai vari volumi della sterminata opera originale, veda anche un seguito.

Mi sento di fare un unico appunto all’editore: il corpo del carattere di stampa. Davvero eccessivamente minuscolo, rende piuttosto difficile la lettura, il che non è mai positivo per il lettore.

Mauro Cotone, laureato in Scienze Politiche, è stato dirigente amministrativo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Ha tradotto e scritto diffusamente su pensatori del primo socialismo inglese . Nel 1990 ha curato La giustizia politica, di William Godwin e nel 1993 il carteggio di Giambattista Bodoni con i suoi corrispondenti inglesi.

(C)2012 Francesca Diano RIPRODUZIONE RISERVATA


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