Sono ancora un po’ contrariata, ma penso che per sbloccare l’intera situazione vada messa in codice una chiave che faccia girare la mia anima, almeno, per scrivere qualcosa di sensato sull’ultimo film visto lunedì sera al cinema.
Her/Lei, scritto e diretto da Spike Jonez, è un lavoro che nella nostra lingua non va visto. Non so chi abbia curato la scelta delle voci dei protagonisti, ma ha toppato togliendo la poesia all’intera produzione. Si falsifica la visione con un ascolto banale, ridotto ai minimi termini nel valore complesso del progetto.
Il vantaggio dato all’immagine e all’invito, nel nostro caso, è rafforzato da una grande strategia pubblicitaria e da numerosi premi vinti tra Golden Globe e Oscar, soprattutto sulla originalità della sceneggiatura.
La trama ruota dietro un mondo ipertecnologico proiettato verso l’onda d’urto delle intelligenze artificiali, e nella sua prima sequenza, proprio nello stacco iniziale, è dichiarato il valore che guiderà l’attenzione nella intera fluidità filmica, trasportata in un sistema onirico troppo offuscato e color seppia. Situazioni separate: reali e virtuali, composte di linguaggi stilistici che cozzano tra loro, che possono convincere, ma che strappano risate fuorvianti, unite poi all’errore madornale di un doppiaggio fastidioso e poco efficace.
Seppur premiato per la sua capacità creativa elaborata in scrittura, chi ha dimestichezza con il mondo del cinema non può sottovalutare certe influenze chiare. Di mio, ho subito pensato a Wim Wenders ne Il cielo sopra Berlino – o alla sua versione più commerciale, con Meg Ryan e Nicholas Cage – The City of Angels. La differenza è nell’organizzazione della coscienza.
Nel caso di Her, Samantha, è un sistema operativo ultrasofisticato capace di offrire possibilità e soluzioni sostitutive alla solitudine e al bisogno di relazioni umane. Il dato semplice della lettura sembra essere legato al discorso nelle neuroscienze emozionali – la branca del marketing che si ammazza a comprendere come fare per indurre all’acquisto di un bene l’individuo nella scelta di un determinato prodotto, cercando di deviare o saltare il libero, arbitrio maturato attraverso lo schema del proprio vissuto.
Theodore - Joaquin Phoenix - è un uomo solo, che trova il suo sostitutivo nella tecnologia. Ha una vita a pezzi, non sembra particolarmente alcolizzato, è stato abbandonato dalla moglie. Sperimenta il suo disagio in condizioni possibili rifugiandosi in un immaginario inventato e nei videogiochi, arriva alla saggezza attraverso la presa di coscienza che sembra arrivare proprio nel termine ultimo della sequenza finale dell’abbandono.
Lo consiglio, con un poco di fastidio.
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