HIEROPHANT, Peste

Creato il 10 novembre 2014 da The New Noise @TheNewNoiseIt

Pile di cadaveri in fiamme, una figura avvolta di nero e con il becco bianco proprio dei dottori medievali si aggira tra loro con una torcia in mano, unico essere vivente a parte i corvi che volteggiano pregustando il banchetto. Intorno un paesaggio arido, qualche albero scheletrico, montagne sullo sfondo e un edificio che sta bruciando, tutto rigorosamente in bianco e nero. Peste, nuovo lavoro degli Hierophant, non poteva avere artwork migliore, una cruda rappresentazione di ciò che resta dopo l’epidemia, un Inferno in terra come quello che dà il titolo all’ultimo brano. A scorrerli, i titoli, mettono in fila una bella lista di debolezze umane, siano veri e propri peccati o meri cedimenti, piccoli gironi danteschi del quotidiano, impulsi irrefrenabili che ci logorano dall’interno come un morbo, la peste appunto. Nulla di religioso, quindi, o di metafisico, quanto un quadro impietoso della nostra vita terrena, che viene riprodotto in note con quello che potremmo definire un ulteriore passo verso il nichilismo assoluto da parte degli Hierophant. Ormai, ogni elemento che potesse in qualche modo smorzare la violenza o dare temporaneo sollievo è stato cancellato via dalla furia di una scrittura che attinge a piene mani dall’estremismo sonoro di matrice hardcore, black e crust, senza rallentare o guardarsi indietro, senza mai lasciare la presa, quasi si assistesse alla carica di un’orda di guerrieri assetati di sangue. Per assurdo, l’unico momento in cui la corsa sembra fermarsi è nel finale, quando ormai il danno è fatto e ci si trascina lentamente sul campo di battaglia, tra monti di cadaveri in fiamme. Se finora la band non aveva di certo giocato al risparmio quanto a vis distruttiva, oggi sembra aver pigiato addirittura sull’acceleratore in questo processo di (auto)distruzione, così da creare un lavoro tanto concentrato quanto denso di umori negativi e di voglia di far male. In poche parole: un vero e proprio inno alla fragilità dell’uomo e alla facilità con cui la sua vita può essere trasformata in pura dannazione.

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