Hilary Thayer Hamann – Antropologia di una ragazza

Creato il 09 gennaio 2012 da Viadeiserpenti @viadeiserpenti

Recensione di Manuela Di Vito

Quella da cui proviene Eveline è una famiglia che oggi verrebbe definita “alternativa”. Però siamo nell’America degli anni ‘70-‘80: quando era piccola i genitori se la portavano dietro a manifestazioni e concerti e, vuoi per la cultura di allora, vuoi per il carattere poco incline alle effusioni della madre o ancora perché i genitori si sono separati presto, Evie non si è mai sentita totalmente amata e voluta dai suoi.
Ora ha diciassette anni e vive nella casa della madre che ospita un via vai continuo di gente: amici, musicisti e poeti, autostoppisti appena conosciuti, per loro la porta è sempre aperta e lei è stata abituata a cavarsela da sola. Il suo rifugio è la rimessa dietro casa, che la mamma in un guizzo di empatia ha risistemato e arredato alla buona. Nella rimessa Evie dipinge e, l’ultima estate, ci ha passato anche le notti, sopra un materasso sul soppalco. La sua migliore amica è Kate che però, dopo la morte di sua madre, maman, lei sente allontanarsi sempre più. Maman è ciò di più simile a una madre che Evie abbia conosciuto, per lo meno una persona che l’abbia fatta sentire figlia e le abbia prodigato quelle cure e dimostrato quell’affetto che viene naturale, ad alcuni, riversare sui propri piccoli. La sua morte rappresenta un punto di svolta nella vita della protagonista.
In effetti tutte le cose importanti sono già accadute quando inizia il libro. Oltre a maman, lei ha già conosciuto Jack, il suo ragazzo. Musicista antisociale e geniale, con una marea di problemi irrisolti in famiglia, amante della natura e delle montagne e tendente a rabbia e depressione. Si amano, si capiscono e si assomigliano, fin quando sulla scena, all’inizio dell’ultimo anno di college, non appare Rourke. Harrison Rourke è un insegnante aggiunto per un progetto teatrale, ha ventiquattro anni ed è misteriosamente interessante. Tutte le ragazze gli corrono dietro ma Evie non sa neanche chi sia fin quando, un pomeriggio, non lo scorge nel corridoio della scuola. Fra i due corre per un attimo l’intensità di uno sguardo che non gli permetterà più di essere liberi e che condizionerà le loro vite nel prossimo futuro.
Alcuni l’hanno definito un romanzo di formazione, forse a ragione, ma è pur vero che etichettare i libri non fa bene, perché le definizioni sono gabbie da cui poi è difficile tirarli fuori. Antropologia di una ragazza è quello, ma anche una storia d’amore e molto altro. Introspettiva, delicata e pungente al contempo. L’animo della protagonista è una casa in cui l’autrice accompagna il lettore per una visita che dura settecento pagine, forse un po’ troppo a lungo in effetti.
La padrona di casa non ha paura di aprirsi, non si sente in imbarazzo per il disordine che regna in quelle stanze in cui noi non faremmo entrare neanche la nostra migliore amica, né per la polvere che si accumula agli angoli del pavimento. La tensione amorosa come la sofferenza sono ugualmente dispiegate davanti agli occhi dell’ospite e godono di pari dignità. Il giudizio è sospeso. La luce che avvolge ogni cosa è sempre malinconica, come quella soffusa di un camino.
Evie cerca di farsi un’idea della condizione femminile, la sua mente è confusa com’è giusto che sia quella di un’adolescente e lei si lascia andare di tanto in tanto a questa confusione così come si lascia travolgere dai sentimenti: aperta, in apparenza passiva. Mentre altre volte asserisce con fervore concetti che considera universali. Se si chiede «chi altro, oltre all’allenatrice, pensasse che arrampicarsi sulla fune fosse importante per le ragazze ma le mestruazioni no», in un’altra pagina è convinta che noi ragazze «dobbiamo fare false promesse e poi resistere alle attenzioni che abbiamo sollecitato. In pratica, dobbiamo diventare delle bugiarde di professione». In altri momenti ancora sa con certezza che «la gentilezza è tutto. Quando la ricevi e la esprimi, diventa il significato assoluto delle cose, un luogo fuori di sé».
È come se il libro fosse diviso in due parti, la prima è di preparazione, di agonia emotiva, di energia vitale che si esprime nella tensione dell’innamoramento ed esplode in frasi come: «sbagliavo a sentirmi un gigante solo perché sapevo che lui era vivo?», o «mi sentivo stranamente tridimensionale a camminare con lui», o ancora «quello che sentivo per Rourke era una parzialità che mi collocava. Mi definiva e mi animava». In questa parte regna la passione.
Nella seconda invece impera la sua totale assenza, la vita è sospesa, e questo è evidente nella storia come anche nella scrittura, che si appiattisce. Le espressioni ricche di metafore e similitudini, di cui le prime trecento pagine traboccano, ora scompaiono quasi del tutto, e i giri per le stanze di quella casa cominciano a diventare monotoni. Prima la pioggia: «e il cielo si accomodò, facendo riposare il suo ventre gravido sulla terra». Prima «il treno entrava tranquillo in stazione e atterrava sul mento come un bovino esausto». Prima allo spuntare del giorno «sentii la mia pelle assumersi il peso dell’alba». Di tutto ciò ormai, nel camino, rimangono solo le braci.

Nota sull’autore
Hilary Thayer Hamann è nata e cresciuta a New York. Ha frequentato la New York University, dove ha ottenuto un BFA in produzione cinematografica e televisiva. Antropologia di una ragazza americana è il suo primo romanzo, portato al successo da Random House dopo che la Hamann aveva fondato una casa editrice per pubblicarlo. Nel giugno 2010 Amazon lo ha segnalato come miglior libro del mese ed è stato uno dei sette “Books to Watch” di Oprah.

Hilary Thayer Hamann, Antropologia di una ragazza
traduzione di Monica Capuani
Fandango, 2011
pp. 730, euro 20


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