di Chiara Frugoni
Lo scriba Hildeberto con il suo allievo Evervino - miniatura dal De Civitate Dei, 1140 ca. - Praga, Biblioteca Capitolare.
Dice lo scriba: Degli scribi sono il primo
e non muore con me la mia gloria.
Dillo tu chi son io, o mia scrittura”.
Risponde la Scrittura:
Tu sei Eadwin, lo dice
la scritta, il dipinto, e la fama ti loda negli anni!
Questo compiaciuto apprezzamento, che accompagna l’immagine del copista e forse anche autore delle miniature di un manoscritto conservato a Cambridge, è del monaco Eadwin della seconda metà del XII secolo. Dimostra una autoconsapevolezza dell’artista e della sua opera che contraddice clamorosamente l’umiltà professionale della persona (era un monaco) e il luogo comune che vorrebbe l’artista del Medioevo definito soltanto in relazione con l’opera eseguita, come mero esecutore, magari per la miglior gloria di Dio. (Non dobbiamo però sempre pensare al maschile: anche molte donne ci hanno lasciato il loro nome d’artista e il loro ritratto: ricordo appena Sancia Guidisalvi, orafa e scultrice che in una croce d’ argento del XII secolo ha sparso le lettere che la proclamano autrice a gloria del Salvatore in un delicato tralcio a spirale lungo tutta la croce, trattenendo a lungo l’attenzione dello spettatore; o la bella Claricia, che in una raccolta di salmi del 1200 si mostra, fanciulla sottile con i lunghi capelli sciolti, costituendosi come gambetta di una Q maiuscola, mentre piega con grazia il capo sotto le lettere del suo nome.)
Naturalmente i luoghi comuni hanno il loro peso: copiare e miniare era ritenuto un lavoro manuale umile e assai duro, anche se portava il monaco ad un’incessante preghiera e riflessione, dato che la maggior parte dei testi trascritti erano di contenuto religioso. Ce lo dice l’ansiosa raccomandazione di un copista dell’ VIII secolo: “Carissimo lettore, prendi il libro soltanto dopo esserti ben lavato le mani, gira i fogli con delicatezza, tieni lontano il dito dalla scrittura, per non sciuparla. Chi non sa scrivere crede che non occorra alcuna fatica. E invece come è penosa l’arte dello scrivere: affatica gli occhi, spezza la schiena; tutte le membra fanno male! Tre dita scrivono, ma è l’intero corpo che soffre!”. Come lavorassero lo scriba e il miniatore, alle prese con uno scomodissimo scrittoio o addirittura con il foglio sulle ginocchia, ce lo dice un divertente autoritratto dell’artista Hildebertus, in un manoscritto del 1140 circa. Il suo compito è interrotto da un topo che dal tavolino accanto gli sta portando via il pranzo. Hildeberto con in mano i ferri del mestiere (raschietto per correggere e pietra pomice per lisciare il foglio – il calamo è in bilico sull’ orecchio-) grida all’intruso: “Maledetto topo, mi fai sempre arrabbiare, che Dio ti mandi al diavolo!”. Ai piedi dello scrivente sta il giovane allievo Evervino, seduto su un panchetto mentre si esercita tutto curvo a miniare.
Ma è proprio vero che solo nel Rinascimento l’artista sarebbe stato nettamente distinto dall’artigiano e percepito come un intellettuale, come personalità creativa, capace di ideare autonomamente? In realtà già nel Medioevo il panorama era assai più variegato di quanto si possa di solito pensare. A precisarlo meglio è dedicato il convegno internazionale modenese L’artista medioevale, promosso dal Comune di Modena, dal locale Museo Civico d’Arte e dalla Scuola Normale Superiore di Pisa, che terrà occupati da oggi a venerdì un nutrito gruppo di studiosi italiani e stranieri in una serie di relazioni, i cui titoli lasciano supporre contributi importanti ed innovativi. Le varie sezioni del convegno sono dedicate al problema della committenza e al ruolo dell’ artista, alla sua autonomia, al rapporto dell’artista con il pubblico, con un’attenzione particolare alla figura dell’architetto. Come era organizzato un grande cantiere, per costruire una chiesa o per dipingere un ciclo di affreschi? Come agivano i modelli e la tradizione? Come era percepito l’artista: un artigiano, un imprenditore, un ribelle? Quale la sua collocazione sociale? Proprio a Modena le grandi lodi incise sulla facciata e sull’abside del Duomo, riservate allo scultore Wiligelmo e all’architetto Lanfranco, mostrano come l’artista avesse acquistato già nel XII secolo uno stato sociale nuovo, conferitogli dall’eccellenza della sua professione. In una miniatura che illustra la costruzione di questa stessa chiesa, Lanfranco, vestito in modo sontuoso, è posto nel gruppo del clero e dei nobili, ben distinto e lontano dagli artifices e più ancora dagli “operai”, dai semplici manovali, rappresentati con i capelli arruffati e tutti stracciati. Lanfranco copia lo stesso gesto di comando del vescovo e della contessa Matilde che lo affiancano. Gli epiteti che in tante iscrizioni connotano l’artista – ad esempio, modernus, doctus, clarus – aprono interessanti prospettive per misurare la percezione che l’artista aveva di se stesso e quella che ne aveva il suo pubblico. Il convegno dedica infatti una sezione a parte alla firma dell’artista, non solo per quanto riguarda il problema se questa implichi la prova che l’opera sia autografa o marchio di bottega, ma soprattutto per la miriade di informazioni che la firma permette di ottenere, ad esempio per seguire la mobilità degli artisti, o per ricostruirne brevi ma sicure biografie. Alla Scuola Normale di Pisa, è da tempo in corso il censimento elettronico delle firme di artisti medioevali italiani (dal VII secolo al gotico internazionale) e al convegno sarà illustrata la scheda tipo, mentre alcuni pannelli documenteranno i risultati già raccolti. Infine sabato, in coda al convegno, sarà presentata l’opera in tre volumi (due illustrazioni e una di testo) dell’editore Panini, dedicata al duomo di Modena. La presentazione avverrà proprio all’interno del duomo: si tratta di un’opera – a cui hanno contribuito molti dei convegnisti – che darà modo a studiosi e a turisti in poltrona di continuare a pensare a Wiligelmo e a Lanfranco.
da “La Repubblica”, 17/11/1999.
Per saperne di più:
Artifex bonus, il mondo dell’artista medievale, a cura di Enrico Castelnuovo, Bari, Laterza, 2004.