Hip-sterismo o isterismo di massa…

Creato il 04 settembre 2013 da Postscriptum

Diciamoci la verità: quanti di voi hanno ben compreso il significato del termine hipster?

A voler essere puntigliosi, e a voler perderci qualche minuto per una googlata spassionata, si trovano parecchie informazioni sul termine (Wikipedia santa subito!) ma anche fin troppa confusione.

L’utilissimo sito urbandictionary.com scrive:
Hipsters are a subculture of men and women typically in their 20′s and 30′s that value independent thinking, counter-culture, progressive politics, an appreciation of art and indie-rock, creativity, intelligence, and witty banter. (A voi la traduzione)

Surfando tra i vari siti che trattano il tema ho constatato che quasi sempre il termine hipster va a braccetto con controcultura o, meglio ancora, sottocultura, come a voler rappresentare una specie di spin off di un movimento culturale in grande scala.

La storia sembra essere proprio questa: coniato nei lontanissimi anni quaranta, il termine hipster, serviva a descrivere una classe sociale composta da giovanotti benestanti che si ispiravano allo stile di vita dei jazzisti afroamericani del periodo ma è solo dopo il secondo dopoguerra che, grazie alle spiegazioni di scrittori del calibro di Jack Kerouac o Norman Mailer, che si è riusciti a stabilire una vera e propria definizione di hipster.
L’hipster è un uomo sotterraneo – scriveva Frank Tirro nel 1977 – è amorale, anarchico, gentile e civilizzato al punto da essere decadente. Si trova sempre dieci passi avanti rispetto agli altri grazie alla sua coscienza.

Negli anni 90 e 2000 il fenomeno hipster, da cultura sotterranea e quasi invisibile, è esploso a livello mondiale fagocitando altre sottoculture e reinventandosi nel corso delle generazioni fino ad arrivare ad oggi, tempi in cui, per come la vedo io, più che di hipsterismo si deve parlare di vero e proprio isterismo.

L’hipster dei giorni nostri, fedelissimo al suo antenato delle epoche precedenti, si contraddistingue per il rifiuto totale di tutto ciò che è massificato (mainstream) sotto tutti i punti di vista, dalla cultura al cinema, dalla musica all’alimentazione.

Se vi capita il classico individuo che dice di non vedere la TV, di non interessarsi ad alcuno sport, di odiare la musica commerciale preferendo i circuiti indipendenti, di non andare al cinema perché il cinema è per gli spettatori mediocri, di non andare a mangiare in nessun ristorante che non sia vegano o almeno vegetariano, allora state pur certi che vi trovate di fronte un esemplare di hipster moderno.

Un altro fattore di riconoscimento è l’aspetto fisico. L’hipster si contraddistingue per la minuziosa cura di barba, capelli e baffi, i quali, questi ultimi, sono spesso ripiegati all’insù; l’abbigliamento è parecchio atipico e, ovviamente, unico nel suo genere trattandosi di capi non commerciali, firmati da marchi difficilissimi da conoscere.

La città italiana dove potete ammirare parecchi esemplari del genere è Bologna.

Il guaio è che noi italiani non ci limitiamo ad assorbire le culture estere ma le esasperiamo all’inverosimile rendendole insopportabili (vedi il rap, ad esempio): così la corrente hipster nel nostro paese ha finito per diventare un consesso raccogliticcio di emeriti rompicoglioni che criticano tutto e tutti proponendosi come unici detentori della verità assoluta. Sono isterici, ossessionati dal volersi per forza distinguere dagli altri fino al punto di diventare insopportabili guastafeste.

Non me ne voglia la comunità hipster italiana, però non è che tutto quello che viene dall’estero sia proprio oro colato…


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