Hiroshima, 68 anni fa: per non dimenticare
Creato il 07 agosto 2013 da Oirpina
In queste giornate afose rischiano di cadere in silenzio due date che rievocano un’immane tragedia per l’umanità. Mi riferisco al 6 e al 9 agosto 1945, quando gli americani sganciarono le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Solo nei mesi immediatamente successivi alla deflagrazione i morti furono oltre 200 mila. Secondo stime attendibili, fino ad oggi le vittime accertate sarebbero oltre 350 mila, in seguito soprattutto alle affezioni tumorali provocate dalle micidiali radiazioni termonucleari.
Quelle dell’agosto 1945 sono state le uniche volte in cui furono impiegate armi nucleari in un conflitto bellico contro popolazioni civili, sterminando intere generazioni e annichilendo intere città. Bisogna ricordare che la paternità storica di tali crimini contro l’umanità, rimasti tuttavia impuniti, va ascritta agli Stati Uniti d’America, che non hanno esitato un momento ad usare armi di distruzione di massa per vincere la guerra.
In particolare occorre riflettere sulla seconda bomba, sganciata su Nagasaki. Secondo vari storici si è trattato di un atto terroristico evitabile, eppure è stato ugualmente eseguito per due ragioni fondamentali. La prima, più che altro un alibi tecnico-scientifico, era che la bomba su Nagasaki, essendo composta di plutonio e non di uranio arricchito come quella su Hiroshima, aveva bisogno di essere sperimentata, ma un simile ragionamento è semplicemente cinico. Il secondo motivo era di ordine strategico, in quanto la seconda bomba era inutile per vincere la guerra contro il Giappone, un paese già stremato, ridotto alla mercé dei vincitori, per cui apparve subito evidente il vero scopo della seconda esplosione, vale a dire un atto scellerato in funzione antisovietica.
In tal senso le bombe lanciate su Hiroshima e Nagasaki, le ultime della seconda guerra mondiale, furono anche le prime della “guerra fredda”. Insomma, fu un chiaro segnale intimidatorio teso a far capire ai sovietici ed al mondo intero chi erano i nuovi padroni.
Negli anni successivi al 1945 le armi atomiche furono adottate dalle principali potenze: l’URSS la ottenne nel 1949 grazie alla decisione di alcuni scienziati che avevano concorso alla creazione della bomba H per il governo nordamericano, per ristabilire un equilibrio tra le parti avverse, la Gran Bretagna nel 1952, la Francia nel 1960, la Cina nel 1964.
In questo periodo, segnato da una prima proliferazione degli arsenali atomici, sorse un clima di “guerra fredda” nel quale i due blocchi politico-militari (la NATO, ancora esistente e il Patto di Varsavia, che ruotava attorno all’Unione Sovietica) erano coscienti di annientarsi vicendevolmente con il solo impiego delle armi atomiche. Era la teoria della “distruzione mutua assicurata” alla base del cosiddetto “equilibrio del terrore”, la strategia della deterrenza che, in qualche occasione, ha scongiurato il rischio catastrofico di un conflitto termonucleare totale. Tale “equilibrio”, ancorché fosse un utile deterrente sul piano strategico, tuttavia non impedì un’enorme proliferazione degli arsenali atomici sia ad Ovest che ad Est. Al contrario, le armi nucleari divennero più numerose, ma soprattutto più sofisticate, quindi più potenti, al punto che confrontate con quelle successive le bombe gettate su Hiroshima e Nagasaki parevano “giocattoli”.
Gli arsenali atomici a disposizione dei due blocchi (Est ed Ovest: nemici sulla carta, ma in realtà complici rispetto alla spartizione economica, politica e militare del globo) erano potenzialmente in grado di disintegrare il pianeta, non una, ma decine di volte.
Nel corso degli anni ‘80 il dialogo tra Reagan e Gorbaciov condusse alla stipulazione dei trattati START I e START II che sancivano una graduale riduzione degli armamenti atomici posseduti dalle due superpotenze. In quegli anni, esattamente nel 1985, uscì un film intitolato “War games” (tradotto in italiano “Giochi di guerra”) che narra la storia di un ragazzo di Seattle che, giocando col computer, riesce ad inserirsi nella rete informatica della difesa nucleare statunitense provocando, nella finzione cinematografica, il rischio di un conflitto termonucleare, poi scongiurato. Cito il film per evidenziare come in quegli anni la percezione dei pericoli di un conflitto atomico che avrebbe potuto causare l’autodistruzione del genere umano, era maggiore di oggi.
Eppure, la situazione odierna è ben più pericolosa di quella descritta relativamente al periodo della “guerra fredda”. Attualmente, gli Stati che dichiarano di possedere armi nucleari e fanno ufficialmente parte del cosiddetto “Club dell’atomo” sono esattamente otto: Stati Uniti d’America, Russia, Cina, Regno Unito, Francia, India, Pakistan e Israele.
Inoltre la possibilità, non solo teorica, che alcune armi atomiche come le cosiddette “bombe sporche” (che non costano come le armi atomiche e non esigono particolari competenze scientifiche, se non quelle, ormai diffuse, che servono a costruire una bomba tradizionale) possano cadere nelle mani di gruppi terroristici al soldo dei servizi segreti delle varie potenze (USA ed Israele sono in cima alla lista per la loro spregiudicatezza) può fornire una vaga idea della elevata pericolosità dell’odierna situazione internazionale, segnata da tensioni aggravate dalla politica della “guerra globale preventiva” che di fatto alimenta le spinte oltranziste in ogni angolo del mondo.
L’odierna situazione planetaria è dunque più insidiosa del passato, soprattutto dopo il crollo del muro di Berlino del 1989 e il disfacimento dell’Unione Sovietica, ma soprattutto dopo l’11 settembre 2001, quando sono state rilanciate la ricerca e la produzione di nuove generazioni di bombe nucleari, molto più piccole e facili da utilizzare. Nonostante ciò, la consapevolezza del pericolo rappresentato dagli arsenali atomici da parte dell’opinione pubblica mondiale, è ad un livello più basso rispetto agli anni della “guerra fredda”, un periodo in cui l’equilibrio tra le superpotenze esercitava un effetto deterrente. Oggi quell’equilibrio non esiste più ed è rimasto solo il “terrore”.
Anzi, la situazione odierna è profondamente instabile e gli USA non sono in grado di gestirla da soli attraverso un ruolo di gendarmeria planetaria che si sono auto-attribuiti con la consueta arroganza che li ha condotti in uno stato di isolamento. Oggi assistiamo ad un insidioso rilancio della ricerca nucleare per fini militari, che vede un coinvolgimento crescente anche dell’Italia. Si pensi che all’aeroporto militare di Ghedi (Brescia) e nella base americana di Aviano sono già pronte almeno 90 testate nucleari.
Per capire l’estrema pericolosità derivante dall’odierno scenario internazionale, ricordo un episodio del 2002, quando India e Pakistan (che già nel 1998 avevano condotto alcuni test nucleari) si trovarono sull’orlo di un conflitto per il controllo del Kashmir, un territorio al confine tra i due Stati, famoso per un tessuto morbido e leggero di lana omonima ricavata da una particolare razza di capre che vive solo in quella regione. Si trattò di una pericolosa contesa politica che avrebbe potuto degenerare apertamente e facilmente in uno scontro bellico, con un eventuale ricorso ad armamenti termonucleari.
Oggi esistono alcune micro potenze regionali, quali la stessa Israele, che detengono arsenali atomici micidiali e assumono atteggiamenti ostili e belligeranti verso gli Stati confinanti. E nessuno osa denunciare la situazione. Anzi, chi si azzarda è tacciato di “antisemitismo”. Naturalmente sarebbe ipocrita non riconoscere che la più grave minaccia proviene da quelle superpotenze mondiali come Usa, Cina e Russia che mirano ad una nuova spartizione geopolitica ed economica del mondo ed agiscono in modo espansionistico sul terreno commerciale, entrando spesso in contrasto tra loro. Si pensi alla competizione tra Usa, Cina ed Europa o alla guerra monetaria tra l’euro e il dollaro.
Certo, dal ‘45 ad oggi le guerre finora combattute e quelle in corso non hanno mai registrato il ricorso ad armi atomiche, ma solo a quelle convenzionali. Finora ho fornito una ricostruzione storica in materia di armi nucleari, provando ad evidenziare un confronto tra gli anni della “guerra fredda” e la realtà odierna che è assai più insidiosa, benché la coscienza della gente sia meno diffusa e profonda rispetto al passato. A tale proposito mi sembra utile citare un brano tratto da un articolo di Giorgio Bocca (apparso diversi anni fa nella rubrica “L’antitaliano”), nel quale l’anziano giornalista scriveva testualmente: “Già nel 1945 avremmo dovuto capire che l’apocalisse era ormai entrata nella normalità. Scoppia la prima atomica a Hiroshima e sui giornali dell’Occidente, anche sui nostri, la notizia venne data a una colonna in basso e non destò particolare emozione. Aveva ucciso in un colpo 100 mila persone e ne aveva avvelenate a morte altrettante. Non se ne sapeva molto, è vero, ma in breve si capì che era l’arma della distruzione totale, ma l’Occidente civile in sostanza non fece obiezione: la bomba segnava in pratica la fine della guerra, perché condannarla?”. In altri termini, il fine (ossia la conclusione della seconda guerra mondiale) ha giustificato il mezzo, ovvero il ricorso alla bomba H, vale a dire ad un terrificante strumento di distruzione di massa.
Oggi, più che in passato, la bieca logica machiavellica del “fine che giustifica i mezzi” non può e non deve essere tollerata, ma va respinta con fermezza ed in modo definitivo, pena l’annientamento dell’umanità e di quasi ogni forma di vita sul nostro pianeta.
Le cause delle guerre, siano esse convenzionali o meno, sono fondamentalmente le stesse: il possesso e il controllo della terra, dell’acqua, del petrolio o di altre preziose materie prime, lo sfruttamento dell’uomo e della natura, l’oppressione di un popolo da parte di un altro popolo, vale a dire di una classe sociale da parte di un’altra classe.
Queste sono le ragioni primarie che possono scatenare un conflitto bellico. Il fatto poi che alla guerra condotta con armi convenzionali si sostituisca la guerra “termonucleare”, non cambia e non toglie assolutamente nulla alle cause, al carattere e al significato di classe della guerra medesima. Tuttavia, è evidente che la differenza tra guerre tradizionali e guerra nucleare sta nel fatto che le armi atomiche sono strumenti di distruzione totale: un “dettaglio” non certo trascurabile, che non va sottovalutato.
Lucio Garofalo
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