Nel libro di Fortini, I cani del Sinai da cui ieri ho estratto un brano, trovo anche, come epigrafe finale, questa frase di Zelman Lewental, Sonderkommando del Crematorio II, di Auschiwitz-Birkenau, detta in data 15 agosto 1944:
Se tu non vuoi più credere alla verità, nessuno vorrà più credere a te.Leggendola, il pensiero è corso al meditativo post di Luigi Castaldi sulla verità e, insieme, al cambio di religione operato (scherzosamente) da Giulio Mozzi.E pensavo alla fede che molti ritengono essere una verità, anzi la verità per eccellenza. E pensavo che amare la verità, che uno crede di possedere, sia molto legato alla paura di perdere l'identità, di perdere riconoscimento. Esemplifico: se qualcuno smette di credere a X, nel quale aveva fede perché riteneva vero, intorno tutti gli amici non lo riconosceranno più, gli diranno: «Quanto sei cambiato!».Ma è cambiato cosa? La verità o colui che non crede più in essa, perché magari ha sostituito la prima verità con una seconda e così via, fino a sperimentarle tutte?E infine: il credere a una particolare verità è legato al caso o alla necessità?È tardi. Vado a letto cercando di rispondere a questa domanda, illuminato e custodito dagli angeli.