Potrete trovare di volta in volta tutti i titoli che ho recensito, e che recensirò, nella mia pagina dell’IMDB a questo indirizzo; come intuirete dalle cartelle presenti ho anche intenzione di parlare degli attuali 250 film considerati i migliori della storia del cinema
Sognando di scrivere per il cinema, non farò mancare post mirati all’osservazione del modo di scrivere di alcuni sceneggiatori e testi di studio riguardanti i miei dialoghi preferiti apparsi sugli schermi cinematografici.
Forse non lo sapete, ma qualche anno fa mi iscrissi al corso di laurea in discipline dello spettacolo e dovetti rinunciarci dopo un primo anno di soddisfazioni: qualche tempo fa ho ripreso in mano il piano di studi, ho recuperato tutti i titoli consigliati e ho ricominciato a studiare da sola, per il puro piacere d’imparare qualcosa che amo profondamente.
Da questa volontà, deriveranno dei post che vi accompagneranno sia nella storia e nella teoria del cinema, che nelle vite di alcune persone che mi ispirano particolarmente a perseguire questo mio sogno.
Mi auguro che quanto leggerete sarà sempre di vostro gradimento e che vi possa appassionare come accade a me.
Lo scorso lunedì, in occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica, ho partecipato a un incontro di due ore incentrato sull’umorismo ebraico nel cinema.
Il critico Giorgio Placereani, autore di saggi riguardanti varie tematiche filmiche, e Giorgio Linda, presidente dell’Associazione Italia-Israele del Friuli, hanno presentato e commentato con sottigliezza e simpatia alcuni brani che rappresentavano al meglio i più importanti motivi dello humour ebraico.
Conoscevo il dottor Placereani da un suo corso di otto ore sulla figura del narratore nel cinema - da me seguito lo scorso inverno - che mi aveva fornito titoli e spunti per molte serate davanti alla tv in compagnia del mio lettore blu-ray, perciò non mi sono lasciata scappare l’occasione e sono corsa a prendermi un posto.
Ho imparato molto sulla figura della donna e madre ebraica, sull’autoironia e sulla capacità di scherzare su praticamente ogni cosa in maniera arguta e talvolta sia esagerata che spigolosa.
Sono stati presentati brani da film di Woody Allen (quello più comico è stato questo), dei Fratelli Marx (un brano dalla loro Guerra lampo), di Mel Broox (da La pazza storia del mondo), una comica di Max Davidson che mi ha fatta ridere da matti, e una scena dal film Un treno per vivere che ammetto di aver scoperto grazie a questa lezione.
Venerdì ho assistito alla presentazione del film Bella addormentata a Udine, e al seguente dibattito alla presenza di Marco Bellocchio e di Alba Rohrwacher.
Il film, nato dalla forte emozione provata dal regista per la morte di Eluana Englaro, narra di storie esterne alla vicenda ma fortemente connesse coi sentimenti di cui in quei giorni, e nel periodo successivo, tanto si discuteva: Bellocchio crea un film intimamente sociale, mantenendo forte il dramma delle vite sospese e mostrando senza giudizi le difficoltà e le visioni di tutti i suoi personaggi.
Vediamo Rosa, bellissima ragazza adolescente in coma, assistita da una madre attrice (Isabelle Huppert) che per lei ha abbandonato la sua esistenza dimenticando un figlio acerbo e ancora bisognoso, una ragazza drogata (Maya Sansa) che vuole farla finita e che un giovane dottore cerca di risvegliare, ma non viene mostrata, né quasi mai nominata, la bella addormentata di cui, di continuo, le tv e i vari giornali trattano in gran parte delle scene, scandendo tempo e pensieri.
Ci sono poi il senatore Beffardo e il suo rapporto di conflitto con la figlia Maria - mutato dalla morte della madre dopo una lunga malattia – dovuto alle loro posizioni diverse nei confronti della vicenda della Englaro: lui, laico, è iscritto a Forza Italia e si trova ad aver ripensamenti sul voto che il partito gli chiede di dare al decreto di emergenza; lei, attivista nel Movimento per la vita, lo respinge, rifiutando le sue idee, finendo però per innamorarsi di un ragazzo tutt’altro che cattolico e conosciuto proprio davanti ai cancelli della struttura La Quiete di Udine.
Vengono messi in scena sacrifici e impedimenti, pianti, il peso della malattia sulle persone che la vivono indirettamente, parole dure, ma anche dialoghi che generando sorrisi amari illuminano sulla situazione politica italiana, sulla fede religiosa e su alcuni dei punti di vista possibili sui temi dell’eutanasia e della morte.
Ed è per questo che il film vale decisamente la pena di essere guardato, per il suo essere nitido nel suo non schierarsi, nel mostrare cose che fanno male, che ci fanno riflettere su quello che faremmo noi al posto di uno dei protagonisti.
Le luci sono fredde, le atmosfere sono scure, la recitazione di un paio di attori non è eccelsa e non trovo che questa pellicola sia buona come altre opere di Bellocchio, ma il film resta potente e d’impatto perché legge le contraddizioni dei suoi personaggi attraverso a quell’amore che, come dice Maria verso la fine del film, invece di accecare ci rende capaci di vedere le cose in modi diversi.