“Ho visto un Re”, Dario Fo e Enzo Jannacci insieme

Creato il 21 maggio 2013 da Sulromanzo

Dario Fo, Enzo Jannacci, Ho visto un ReIn quarta di copertina c’è la scritta: «consigliato dai 6 ai 99 anni».

«Dai 6 anni…». Proprio così, perché Ho visto un Re, il volumetto di 32 pagine (16,50 euro) ripubblicato dall’editore romano Gallucci, è molto più di quel che sembra.

Effettivamente sembra un libro per bambini. Pubblicato nel 2006 nella collana Illustrati, ripubblicato nel gennaio di quest’anno dallo stesso autore nelle Creste d’oro, il volumetto nelle librerie lo si trova sugli scaffali dei libri per i più piccoli.

Perché per bambini è la copertina, accattivante, con quell’imperatore, disegnato da Emanuele Luzzati con un sorriso birichino, che se ne scappa per le verdi colline tenendo in braccio il castello portato via al re. «Porca malòr!... di trentadue che lui ne ha.»

Essendo per bambini, il prodotto è snello, tascabile, le sue poche pagine (32 appunto) giuste per contenere le sole strofe, scritte come una fiaba, della famosa canzone omonima di Dario Fo; strofe inframmezzate dalle coloratissime interpretazioni di Luzzati, che fu pittore e scenografo, prima che illustratore.

E pure per bambini è il Cd allegato, con la versione di Ho visto un Re cantata nel 1968 da quell’artista eclettico che fu Enzo Jannacci. Canzone orecchiabile, semplice, ritmata e dal testo pieno di controsensi e ironie. Cose che ai bambini piacciono tanto.

«…ai 99 anni». Ma Ho visto un Re, in realtà, non è un libro per bambini. Quantomeno non solo. Come molti altri della stessa collana e dello stesso editore, è uno di quei libri che ti arrivano in mano nell’infanzia, ma possono farti compagnia per una vita. Di quelli che ogni volta che li riprendi a sfogliare ti sanno dire qualcosa di nuovo e stimolare riflessioni sempre attuali, sempre adatte all’età che stai vivendo.

Il motivo sta in una canzone che ad un primo ascolto par quasi un nonsense, un susseguirsi di immagini ironiche (come quella del vescovo che «faceva un gran baccano, mordeva anche una mano»), ma che in realtà è un intreccio di metafore che ad ogni fruscio di pagina rivelano l’amara, graffiante, critica socio-politica dissimulata nei versi di satira.

Così che anche il contadino al quale «il vescovo, il re, il ricco, l’imperatore, persino il cardinale…gli han portato via: la casa, il cascinale, la mucca, il violino…i dischi di Little Tony…la moglie!... e un figlio militare» (oltre ad avergli ammazzato il maiale), «lui non piangeva, anzi: ridacchiava». Ma non perché fosse matto, ma perché «sempre allegri bisogna stare che il nostro piangere fa male al re. Fa male al ricco e al cardinale».

Una canzone che Dario Fo ha scritto, come lui stesso ha raccontato, ispirandosi al “bei-bei”, canto polivocalico tipico della zona compresa tra Grosseto e il Monte Amiata, dove accompagnava canti d’osteria, romanze, serenate e “canzonacce” della tradizione popolare da sempre tanto amata dal Premio Nobel per la Letteratura 1997. Un brano che, apparso nel 1968, ne divenne subito uno dei simboli, come l’altro successo, dalla struttura molto simile, cantato sempre da Jannacci: Vengo anch’io. No, tu no.

Per questo motivo, è corretta l’indicazione riportata nella quarta di copertina di questo libricino di Gallucci Editore, perché Ho visto un Re è una favola, con tutti i personaggi delle favole che, però, si comportano come nella realtà, dove c’è un potente che si inchina solo a uno ancora più potente, e dove il popolino, anche di fronte all’abuso, è obbligato a riderci su. Uno stimolo alla riflessione che giustamente, dunque, è «consigliato dai 6 ai 99 anni».

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