A Hollywood tutto è illuminato, anche la morte. Sotto il sole della California nemmeno i cimiteri sanno essere tetri. Trecentoventi giorni di sole all’anno di media fanno il loro effetto. Ed è così che anche il camposanto da luogo malinconico diventa un giardino bellissimo in cui si tengono anche spettacoli e concerti.
Durante una delle mie scorribande losangeline di qualche anno fa mi imbatto, quasi casualmente, nell’Hollywood Forever Cemetery, al numero 6000 di Santa Monica Boulevard. Un vialone assolato e rovente, dove gli autobus non passano di frequente e in cui è difficile trovare un rifugio ombreggiato e la maggior parte delle attività in cui ci si imbatte sono autolavaggi e officine meccaniche. Arrivare al cimitero è come arrivare in paradiso.
Dietro all’alto muro di cinta, attraversato il bel cancello in ferro battuto, un ampio giardino all’inglese caratterizzato dalle altissime e tipiche palme si apre davanti a me. Credo che la visita sarà lunga, ma per fortuna un piccolo negozio all’entrata del parco vende non solo composizioni floreali per la tomba del caro estinto, ma anche freschissime bottigliette d’acqua e mappe per orientarsi tra le tombe dei personaggi illustri. Ok, si parte.
In memoria del caro Toto
Molti i divi del cinema che riposano all’ombra della Hollywood sign. Tra tutte la tomba più scenografica è quella di Douglas Fairbanks, re del cinema muto e tra i fondatori dell’Academy of Motion Pictures Arts and Science, che diede vita nel 1929 al premio Oscar. In un ameno prato verde, rinfrescato da un lungo bacino d’acqua popolato da ninfee, riposa insieme al figlio omonimo.
E poi c’è lui, il nostro protagonista, Toto. Ok, non vi viene in mente niente. E se vi dico “Follow the yellow brick road?”. Indovinato! Toto è il cagnolino di Dorothy nel film Il grande mago di Oz del 1939 con protagonista Judy Garland. Toto risiede in questo cimitero vip dal 2011, dopo 53 anni dalla distruzione della sua tomba avvenuta in concomitanza con la costruzione della Santa Monica Freeway. Buon riposo, caro amico Toto.
Testo e foto di Elisa Bozzi