Homeless or hopeless? Storia di una vita qualunque

Creato il 13 aprile 2013 da Andcontr @andcontr

La storia di oggi non è una storia di mafia e neanche uno scoop dell’ultima ora. La storia di oggi è una di quelle storie che un aspirante giornalista deve avere nel suo passato, perché fare giornalismo solo su fonti indirette e agenzie rigirate non può essere un vero giornalismo. Il giornalismo che consuma le suole lo chiamano i vecchi, quello storico, quello che oggi a mano a mano si sta perdendo.

La storia che racconterò oggi è la storia di un uomo qualsiasi. Uno di quelli che quando non era in cassa integrazione si alzava per lavorare, dava di che sopravvivere alla famiglia, insomma, una vita normale. Peccato che poi arriva la crisi, l’azienda chiude, lui rimane a casa. Storie d’Italia. Lo incontro una mattina in quel di Piazza Solferino. Sedeva a terra di fianco ad uno dei monumenti della cultura torinese, il teatro Alfieri. Di lui colpiscono gli occhi: vispi, attenti, penetranti. Incorniciati in un volto segnato dal tempo, dal duro lavoro in fabbrica, dal freddo. Si, il freddo. Il freddo che ogni giorno da tre anni combatte con giornali nei pantaloni e nelle scarpe. Freddo che patisce da solo, seduto su un gradino a chiedere quei pochi spiccioli. “Servono a mio figlio, mica me li tengo io!” esordisce quasi senza preavviso. Già, suo figlio. “Ha 30 anni ed è stato licenziato senza ricollocamento. Non so più dove siano i sindacalisti di una volta!” E giù uno sproloquio contro la nuova classe di sindacalisti. Colpisce la determinatezza e la franchezza con cui si lancia in queste invettive. Sempre argomentate e senza parole inutili. La semplicità di un verbo, la naturalezza dell’aggettivo giusto colpiscono chi l’ascolta e lo portano ad ammettere la sua natura di grande lettore, abbandonata di fronte alle ristrettezze economiche. La cartella a questo punto scende dalla schiena e ci si trova un pezzo di gradino per condividere un pò di tempo. Si, tempo, quello che lui vorrebbe condividere con gli altri ma che sistematicamente viene tradito. “Sono centinaia le persone che mi passano davanti, tu sei il primo da mesi che si ferma a parlare”. Solitudine, per di più non voluta. La solitudine fa rima con mancanza di dignità. Sono passati si e no una decina di minuti, le cose dette son già migliaia, ma decine sono i passanti che hanno guardato quell’angolo con disprezzo. Davvero. Occhi che fanno finta di non girarsi ma che inevitabilmente cadono a guardare quel quadretto che di normale ha poco. Manager, impiegati, lavoratori. Persone che vivono ogni giorno su queste realtà. “Io le tasse le pago, è un dovere farlo. Non capisco perché tutti si scaldino tanto su questo tema, non è da legge?” La risposta non può che essere affermativa. Dall’analisi dell’oggi, alla crisi, alla politica, i minuti corrono e più si va avanti più si capisce che il fiume aveva solo bisogno di un alveo in cui scorrere. Pensieri probabilmente maturati durante le fredde giornate invernali, o magari durante una bella giornata assolata.

Gli offro un caffè. Lui si gira verso di me, mi squadra dalla testa ai piedi, mi poggia una mano sulla spalla e con una naturalezza disarmante ” Vai che fai ritardo a lezione, il caffè offrilo alla tua ragazza. A me hai già donato il tuo tempo, cosa c’è di più prezioso?”. Non l’ho più incontrato Franco. Dopo quel giorno sono ritornato in quell’angolo ma non l’ho mai più incontrato.

A lui dedico questo post, nell’angolo del forestiero. A lui e a tutti quelli come lui che ogni giorno si svegliano e cercano tempo da spendere con qualcuno. A voi che leggete, che magari trovandovi nelle stesse condizioni, al posto di guardare e passare oltre, vi fermiate pochi minuti. Potrebbero essere quei minuti che fanno cambiare la vostra vita. 



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