Horns

Creato il 09 novembre 2014 da Jeanjacques

Sapete bene che ormai uno dei tormentoni di questo blog sia che delle trasposizioni cinematografiche che vengono fatte non ho (quasi) mai letto i libri. Ecco perché per questo Horns, che non ne vuole sapere di essere distribuito da noi, ho voluto prendermela un po' comoda, leggendo prima il libro di Joe Hill da cui è tratto. Un po' per mera completezza, un po' perché molti mi hanno detto che come libro in realtà merita tanto. E molto per constatare se questo Joe Hill, figlio del re del brivido Stephen King (il suo nome completo infatti è Joe Hillstrom King, ed è rimasto sotto pseudonimo fino a che le sue opere hanno ottenuto una certa popolarità), sia effettivamente un autore di talento o l'ennesimo tizio paraculato che fa fortuna solo per il suo nome. Le speranze che fosse alla pari di un Jason Reitman o di un Duncan Jones, tizi che nonostante il cognome ingombrante che si portano dietro hanno saputo farsi valere dimostrando di avere una propria voce, erano molte, e alla fine devo ammettere che il ragazzo se la cava. Il libro, pur senza farmi gridare al miracolo, mi è davvero piaciuto e invito chiunque a leggerlo, perché oltre a far venire fuori delle dovute riflessioni e a parodiare i segreti nascosti della classica comunità americana, offre anche dei momenti decisamente weird che strappano più di una risata amara. Ma il film, invece?

Ig Perrish è nella merda: la sua ragazza è stata ammazzata e lui è il principale sospettato. Dopo una notte di eccessi, passati proprio sulla tomba dell'amata, il giovane si sveglia con delle corna caprine sulla testa. La cosa ancora più terribile è che quelle corna gli permettono di sentire i pensieri della gente e, proprio grazie ad esse, riuscirà a risolvere il mistero dell'assassinio della sua amata.

Alexandre Aja avevo avuto modo di conoscerlo col gradevole Haute tension, horror discreto sorretto però da un comparto visivo eccelso e un gusto per l'esagerazione gradevolmente esagerato, poi è andato a impantanarsi col remake de Le colline hanno gli occhi e con la cazzonaggine estrema di Piranha 3D. E 'cazzone' è proprio il termine esatto per descrivere Aja, perché, fra quelle che ho visto, le sue opere più riuscite (l'horror campagnolo e l'attacco dei pesci famelici) sono quelle che dimostravano una sana cazzonaggine. Anzi, il remake del classico di Joe Dante arrivava alla sufficienza proprio per quei motivi, perché era un'opera cazzona fatta da un cazzone estremo che però sapeva fare il suo lavoro. Fra l'essere cazzoni e l'essere ironicamente cinici, però, c'è una bella differenza, ed è quello che impedisce a questo film di colpire come avrebbe dovuto. Ovviamente qui non sto a dire che un regista che prima ha fatto solo un determinato tipo di opere non possa fare cose che escono dai suoi schemi tipici, Takashi Miike dovrebbe essere un esempio per tutti, eppure va proprio detto: Aja non era la persona adatta per fare una trasposizione del libro di King jr. O almeno, non per farla fedele. Avrebbe potuto fare la sua personalissima visione, coattissima ed esagerata, e tutti sarebbero stati felici. Perché quello cartaceo era l'Horns di Hill, quello su celluloide l'Horns di Aja. Il problema principale del film, infatti, è quello di volersi avvicinare il più possibile alle atmosfere del romanzo di partenza, andando a parare però in tutt'altro discorso e lasciando in sospeso molte cose. Non so se magari sarei stato più clemente se non avessi il libro, ma è impossibile negare, anche a una visione vergine, che molti passaggi sono abbastanza incerti e che alcune cose non tornano anche a un semplice livello logico. La morale del libro, se così vogliamo chiamarla, era quello dimostrare come tutti si nascondo dietro a una facciata di buonismo autoimposto, di come in realtà covassero dei desideri che in realtà li portavano ben distanti dalla classica cosa «giusta da fare». Il diavolo quindi non era più un essere meramente malvagio, anzi, in certi casi l'egoismo era l'unica soluzione per essere veramente felici, proprio perché impediva di stare sotto delle costrizioni che castravano il vero raggiungimento della felicità. Ma fino a dove ci è permesso di spingerci? Tutto questo nel film è assente, invece, o almeno trattato con tale superficialità da farlo sembrare un discorso a vuoto. A cosa vuole veramente portare la pellicola? A nulla, semplicemente. Forse a risollevare la carriera di Daniel Radcliffe, che manco dopo The woman in black e What if riesce a scrollarsi di dosso l'ingombrante figura di Happy Popper e che qui, pur dando buona prova di sé nella convincente prima parte, rimane sempre offuscato da un finale a dir poco imbarazzante, dove semplicismi e avvenimenti nonsense la fanno da padroni - seriamente, se avete letto il libro partiranno dei sonori bestemmioni. Tutto è stranamente ordinario per quello che doveva essere un film diretto dall'enfant terrible, le confessioni sono prese paro-paro dal libro e non hanno il mordente o il ritmo visivo adatto per un film. Ironicamente l'unica che funziona è la rissa fra i giornalisti, quella inventata appositamente per il film. Ma a peccare maggiormente è il cattivo, il cui passato viene drasticamente modificato in una sequenza di cui si sarebbe potuto benissimo fare a meno, mettendo un particolare inutile e togliendo tutto ciò che lo faceva funzionare così bene, privandolo del suo essere una sorta di rivelazione ancestrale del male che in quello stato naviga fin dalla propria nascita. Sia chiaro, non mi lamento delle differenze dall'originale. Peter Jackson, che è la groupie numero uno di Tolkien, ha stravolto alcuni passaggi del libro, ma almeno in quello che era l'universo da lui creato ogni cosa aveva una sua parvenza di logica. Qui invece si dice che l'amore brucia come l'inferno, ma brucia il vedere che non si riesce a fare manco una cosa decente pur avendo già dell'ottimo materiale di partenza.

Ma comunque, perché quando non sanno a chi dare un personaggio femminile di contorno, lo danno a Juno Temple? Fa una comparsata anche in A dame to kill for e in The dark knight rises...Voto: ★★

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