Hotel Borg: dalla Noia alla Libertà nel Buio Inverno d’Islanda

Creato il 15 ottobre 2013 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Emanuela Riverso 15 ottobre 2013

Se Nicola Lecca fosse un pittore sarebbe l’erede di Edward Hopper: le sue tinte sarebbero più forti e i colori più densi per trasmettere quella vitalità che in Hopper è caratterizzata proprio dall’immobilismo; in comune hanno i soggetti, individui colti in momenti di solitudine che viaggiano, attendono, meditano: caffè e hotel fra i luoghi prediletti da entrambi perché in essi la vita è come sospesa, si può riflettere meglio e dialogare finalmente con se stessi. Questo paragone non è affatto azzardato se si pensa che Nicola Lecca oltre che scrittore è un viaggiatore, e lo è nell’anima, nel pensiero, nella quotidianità. Hotel Borg (Mondadori, 2006) è il secondo romanzo di Nicola Lecca che leggo. Qualche mese fa avevo letto il suo lavoro più recente, La piramide del caffè (Mondadori, 2013) e già allora mi aveva affascinato il modo di contestualizzare e relazionare la storia dei personaggi in forte connubio con il posto in cui si svolge. Una catena di caffè a Londra, un orfanotrofio in Ungheria, l’hotel Baur au Lac a Zurigo, «un imperiale albergo del passato». Anche in Hotel Borg non mancano i riferimenti agli hotel e ai caffè in cui avviene lo sviluppo dei personaggi e della vicenda: nell’introdurre uno dei protagonisti, quasi per condividere con noi l’incanto di questi luoghi di transito, Lecca scrive: «L’appartamento “Arlecchino” dell’hotel Dorchester era la casa inglese di Alexander: fra tutti i suoi capricci d’artista, il più indispensabile. Gli alberghi storici, del resto lo affascinavano da sempre [...]. Non erano né il lusso né lo sfarzo a interessarlo: era, invece, l’atmosfera densa di passato a stimolare in lui ricordi nostalgici e fascinose suggestioni». Sono cinque i personaggi principali di questo romanzo e nella prima parte del libro ci vengono presentati uno per volta, ognuno con i propri pensieri, i propri dubbi e le proprie angosce: lo svedese Oscar, partito da Göteborg per costruirsi dei ricordi prima di godersi in una casa vicino al mare lo Stabat Mater di Pergolesi, una delle sue opere musicali preferite, riesce a farsi assumere come “buongiornista” presso il prestigioso hotel Dorchester di Londra e a conoscere il celebre direttore d’orchestra Alexander Norberg.

Nicola Lecca, che ha lavorato davvero presso questo hotel, al termine del romanzo precisa che non esistono ruoli del genere presso il Dorchester, ma è una mansione fondamentale per lo sviluppo del suo personaggio; Oscar decide di assistere all’ultimo concerto di Norberg che si svolgerà in Islanda e lascerà Londra alla volta di Reykjavík. Ad Alexander Norberg è appena arrivata un’offerta che non potrebbe rifiutare: gli viene infatti proposta la nomina di Direttore Stabile dell’Orchestra Filarmonica di Berlino. Eppure preferisce non accettare «perché dopo non ci sarebbe più nulla», vuole dare un ultimo concerto prima di ritirarsi e propone lo Stabat Mater di Pergolesi: «l’opera perfetta quella che faceva impallidire anche l’anima» la cui esecuzione deve compiersi «in un luogo che fosse adatto al dolore. Un luogo piccolo e freddo». Ed è così che i due personaggi Norberg ed Oscar sono legati dall’affinità e dal destino, rappresentati rispettivamente dalla composizione di Pergolesi e, all’inizio del romanzo non possiamo ancora saperlo, dal freddo che quando «entra completamente dentro le persone non c’è più molto da fare». Per la realizzazione dello Stabat Mater Norberg ha bisogno di due cantanti di eccezione e decide di contattare Rebecca Lunardi, non nota come la Callas o la Tebaldi, ma «dalla voce cupa, caratterizzata da un timbro peculiare» che sembra perfetta per quest’opera. L’artista si divide fra la sua vita in Svizzera e quella in Ungheria, dove tra l’altro ha adottato un figlio (anche i dettagli biografici di questo personaggio rimandano al più recente lavoro di Lecca, La piramide del caffè). L’altro cantante è la voce bianca Marcel Vanut, un bambino francese sin troppo protetto dai suoi genitori che vedono nella perfezione della sua voce un incredibile affare, prima o poi destinato al declino, con il passaggio del piccolo Marcel all’adolescenza.

In attesa di questa inevitabile mutazione, a Marcel non è consentito di vivere in maniera spensierata la sua infanzia, costretto al rigore e alla continua tutela di sé e della sua formidabile voce. I due cantanti nel corso della vicenda giungeranno ad un’importante decisione destinata a modificare per sempre la loro esistenza. Norberg stabilisce il luogo del concerto: a Reykjavík, vicino all’Hotel Borg in cui soggiornano tutti gli artisti dell’evento, accanto al Palazzo del Parlamento, vi è la vecchia cattedrale costruita alla fine del Settecento, una piccola chiesa, povera ma linda. Il concerto sarà gratuito e i cinquantadue fortunati spettatori saranno estratti a sorte dall’elenco telefonico. L’Islanda, uno strano paese, così lontano e tanto buio e misterioso d’inverno, non è più protagonista della stampa internazionale dai tempi dello storico incontro fra Reagan e Gorbačëv; con la decisione di Norberg l’Islanda diviene oggetto di rinnovata curiosità da parte dei media di tutto il mondo. Il quinto personaggio del romanzo è Hákon, un giovane islandese, bello, desiderato e dalla vita assolutamente sregolata. È uno dei fortunati che ha vinto la possibilità di assistere al concerto e Norberg pensava «che era proprio questo genere di pubblico adatto al suo Stabat Mater, persone comuni, semplici, senza alcuna cultura musicale: senza armatura, insomma. Gente che si sarebbe trovata davanti alla potenza dello Stabat Mater nuda e priva di protezione». Ed è così che inconsapevolmente, prediligendo spettatori «senza armatura», Norberg decide le sorti del giovane Oscar, colui che ama lo Stabat Mater e cerca disperatamente un biglietto per poter assistere al concerto; Oscar potrà dire a Norberg in persona: «è troppo facile rimpiangere i desideri che non si avverano, quando si è fatto poco per realizzarli. Io non sono così: credo che la vita sia come un rompicapo e che la soluzione si possa sempre trovare. Credo che il destino non sia già scritto, ma che siamo noi, con la nostra forza d’animo, a influenzarlo». Nel proseguire con la lettura del romanzo ci accorgiamo che questa affermazione di Oscar è parzialmente veritiera: il destino sembra che sia già scritto, a noi rimane solo la scelta di compierlo.

I cinque personaggi sono legati l’uno all’altro da un comune denominatore: un limite personale e umano contro cui combattere e che determina la loro solitudine. Sono tutti alla ricerca della propria libertà da questi limiti imposti dalla quotidianità, dalla realtà che li circonda, dall’esistenza che hanno pur scelto di vivere. Per comprendere a pieno il libro, man mano che si procede con la lettura, si avverte l’urgenza di ascoltare lo Stabat Mater di Pergolesi: una scelta non casuale per cui al termine del romanzo Nicola Lecca sente di dover ringraziare l’amica che ha dimenticato nel giradischi di casa sua quest’opera e il Maestro Muti per il supporto e le informazioni che gli ha trasmesso durante la stesura. Ed è proprio la musica la vera protagonista di questo volume, come dimostra la solitudine di Norberg subito dopo un concerto: «Una solitudine dolorosissima che segue tanta smodata compagnia: l’orchestra e il coro davanti e, dietro, il pubblico. Migliaia di occhi che erano avidi della sua musica, ma non di lui. Pensò: “Adesso non sono più niente: appena la musica finisce, anch’io finisco”». In conclusione, una piacevole conferma sulla sensibilità di Nicola Lecca che si trasmette e percepisce nella scelta delle parole e nella costruzione della trama: rileggere le prime pagine dei suoi romanzi dopo averne concluso la lettura aiuta a comprendere come ogni frase e ogni affermazione siano già una anticipazione, un riferimento a quanto si compirà. Per quanto mi riguarda il prossimo appuntamento con la scrittura di Nicola Lecca sarà Concerti senza orchestra (edito da Marsilio, 1999) con cui l’autore cagliaritano è stato uno dei finalisti del Premio Strega.

La fotografia usata come copertina di questo articolo è stata realizzata da Emanuela Riverso


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