Il viaggio nella follia che un uomo, rimasto come una sentinella solitaria a guardia di una fortezza ormai abbandonata, compie fino alla terminazione estrema di ogni vitalità è occasione di rappresentazione di squarci di vita quotidiana, raffigurazioni di estreme solitudini, ostensioni di eternità femminine portatrici di mortale sensualità, ritratti di stolidità mercantili e contadine, visioni di sotterfugi meschini, indifferenze poliziesche e burocratiche, maschilismi eterni.
Hotel Madrepatria è un romanzo affresco, reso mirabilmente attraverso l’ibridazione di tempi, di soggetti narranti, di punti di vista che ricordano certe potenti espressività linguistiche alla William Faulkner o certe disperate rese dei conti alla Albert Camus.
La rendicontazione maniacale degli attimi delle vite dei personaggi, delle loro angosce, dei loro ricordi, delle loro speranze si fonde con la raffigurazione della eternità dei popoli, della ineluttabilità dei destini collettivi, della ineludibilità dello scorrere del tempo e dei tempi. Yusuf Atligan scrive un romanzo assoluto traslando la singolarità di un accadimento che vive al confine tra le anime e i corpi in figurazione del dolore degli umani e, come il Graham Greene de Il nocciolo della questione, osserva e trascrive questo dolore con misericordiosa pietà, quella misericordiosa pietà che solo uno scrittore di razza sa come raccontare.
Un libro.
Hotel Madrepatria, di Yusuf Atilgan (Calabuig).