“Hotel nomade” di Cees Nooteboom: la scrittura in movimento

Creato il 06 novembre 2013 da Luoghidautoreblog

Pubblicato nel 2003 da Feltrinelli Traveller (nella traduzione di Franco Paris e Claudia Di Palermo), il libro Hotel Nomade dello scrittore olandese Cees Nooteboom si apre con una citazione del filosofo Ibn al-Arabi tratta da un testo arabo sugli effetti del viaggiare: «L’origine dell’esistenza è il movimento. In essa quindi non può esistere l’immobilità, perché se l’esistenza fosse immobile tornerebbe alla sua origine, che è il Nulla. Per questo il viaggio non cessa mai, non nel  mondo superiore e non in quello inferiore». L’autore racconta di aver scovato questo libro a Parigi e di averlo acquistato perché vi compariva la parola voyage e perché aveva «notato un paio di cose nell’introduzione riguardo a ogni viaggiatore del XII o nel XX secolo. […]; un viaggio, dice il testo, viene chiamato così perché rivela il carattere delle persone, o per dirla con più semplicità per colui che viaggia da solo, in viaggio impari a conoscere te stesso». Nooteboom viaggia in continuazione fra Olanda, Spagna e Germania; definito dal New York Times «una delle voci più alte nel coro degli autori contemporanei», è traduttore di poesia e teatro ed autore di saggistica, romanzi, poesie e libri di viaggio.  Hotel nomade è una raccolta di reportage realizzati  in Gambia, in Mali, ai confini del Sahara, in Bolivia, in Messico, tutti luoghi difficili in cui,   per evitare conseguenze e problematiche, Nooteboom ha dovuto comprendere l’altro oltre che l’altrove. Compagno di molti viaggi il fotografo Eddy Posthuma de Boer a cui lo scrittore dedica un intero capitolo e di cui scrive: «Negli anni sessanta cominciammo  a fare insieme grandi viaggi: Brasile e Bolivia, Giappone e Malesia, Gambia, Niger e Mali, e sempre molta Europa. Forse non si conosce mai davvero una persona, ma mercati dei cammelli, aeroporti africani, doganieri sospettosi, alberghi squallidi, barche mancate, potenti scomodi, strade pericolose e lunghi silenzi su verande singolari danno di certo una mano. E’ stato tutto negativo? No, naturalmente no, ma il viaggio rimane sempre una prova di forza, una valutazione delle cose che puoi e non puoi fare, una stima della tua indipendenza dalle persone e dalle circostanze, e un atto di pazienza nell’accettazione del fatto che in quell’altro mondo le tue aspettative e i tuoi criteri non tornano, che la paura in ogni sorta di sfumatura può essere una componente del viaggio».

L’unico luogo in cui un viaggiatore si lascia il mondo alle spalle, ritirandosi nella propria interiorità, è la camera d’albergo, uno spazio appartato e circoscritto necessario alla scrittura; in queste sue pagine dedicate anche al mondo degli alberghi, Nooteboom prova ad immaginarne uno che rispecchi e sintetizzi i tanti Hotel visitati nel corso degli anni e scrive: «continuo a costruire il mio albergo, quell’edificio inesistente che esiste soltanto nella mia mente, l’albergo del mondo vicino e di quello lontano, della città e della quiete, del freddo e della calura. Finestre che non esistono con vista su giardini sul retro e piazze di cemento, parchi e deserti. I letti fluttuano, i muri sono formati dalla polvere dei sogni, i telefoni parlano solamente tra di loro, le stanze sono fatte d’aria, e in ognuna di quelle stanze io ho scritto libri, lettere, appunti, racconti sulle cose, sui posti che vedevo. Su città e poesie, su libri e mostre, su viaggi e fotografie. Su questo viaggiare, che è cominciato quasi cinquant’anni fa, e che per me ha avuto sempre a che fare con lo scrivere, il leggere e soprattutto il vedere […]».

Ed è così spiegato il titolo di questo suo libro, che enfatizza il fascino di alcuni luoghi e l’arricchente isolamento che determina poi la realizzazione del viaggio e della scrittura; per concludere utilizziamo ancora un’affermazione di Nooteboom:  «La mia vita da nomade, forse, mi ha insegnato chi sono e chi non sono».

Il senso del viaggiare è poi questo, imparare a conoscersi, proprio come si scriveva nell’ introduzione di quel libro di filosofia araba che l’autore aveva casualmente trovato  a Parigi. Questo il filo conduttore del libro, destinato a tutti gli appassionati di viaggio, fotografia e scrittura e a coloro che subiscono il fascino dei luoghi occasionali della scrittura, ovvero Hotel nomade.


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