VIII – VII – VI – V – IV – III – II – I. In attesa di luce e aria. Un conto alla rovescia in numeri romani scritti sulle porte dei piani di un’ascensore ci accompagnano nella discesa da un Silos in Montenegro, dalla cima alla base. Ecco Primopiano, due minuti di tempo sospeso, con la camera fissa su un uomo. Comincia qui il viaggio per immagini di Matteo Giacchella. In un cubicolo asfittico in cui il movimento è dato solo dai numeri che scorrono, mentre il tempo è la distanza che separa l’adesso dall’attimo in cui il sole inonda il volto del protagonista quando si spalanca la porta.
E mentre la geometria delle linee che si alternano sullo sfondo dà il senso del moto, l’uomo al contrario è lì, immobile, sospeso, in attesa solo del trascorrere dei minuti. Minuti che sembrano ore o giorni interi che scivolano via come una manciata di secondi. L’essenziale è ciò che rimane, resta e resiste all’azione sgretolatrice del tempo. Una fotografia, una lettera, un ricordo, o una canzone.
Una filastrocca magari, come quella che rivive nel video The song of Paparuda. E con la vecchia canzone che passa dalle bocche dei nonni a quelle dei nipoti di un paese in Romania, si tramanda anche il rito di Paparuda, pupazzo di argilla con cui si invoca la pioggia. La parola memorizzata, resa automatica e poi ripetuta, diventa antidoto all’oblio e mezzo per tenere viva la cultura residua di una civiltà rurale, che vede la sua sussistenza dipendere dagli agenti atmosferici, dalla gioia per un acquazzone dopo un’estate di siccità, alla disperazione della tempesta, che in pochi minuti di ghiaccio e vento distrugge il lavoro di mesi e rende vana la fatica delle braccia. Quelle dell’agricoltore e quelle dell’artigiano. Entrambe custodiscono un sapere costruito sull’esperienza e la trasmissione orale, che rischia di scomparire, inghiottito dai processi di automazione.
In opposizione alle macchine, Matteo Giacchella in questo suo Piccola Trama Sdrucita ci mostra nocche, dita e fili, che svelano l’arte della tessitura al ritmo di una fisarmonica. E anche lì, mostra le mani del musicista, che suonando ci accompagnano tra i monti Sibillini, in squarci inaspettati di natura e colore. Pascoli, telai e strade che si fanno largo tra i monti sono i tasselli di un mondo da ricordare ora, prima che scompaia. Un mondo che è un po’ anche il nostro. Quello di un’Italia antica fatta di storie speciali nella loro semplicità, che alberi di memoria come i nostri anziani ancora sanno far rivivere, dalla Sicilia, alla Val d’Aosta. “Ciò il cinema salva, quando raggiunge lo stato di arte, è una spontanea continuità con tutta l’umanità – scrive John Berger – Il cinema non è un’arte dei principi o dei borghesi, è popolare e vagabonda”. E dopo questo sguardo popolare, che passa dalle rughe di un ascensorista Montenegrino, ai sorrisi dei bambini Rumeni, alle mani operose dei paesi sperduti sui monti Sibillini, Matteo Giacchella cambia prospettiva e il suo sguardo diventa vagabondo.
Non è più l’umanità con i suoi tentativi di esorcizzare e arginare lo scorrere del tempo a contare, ma paesaggi antropizzati, privati del loro creatore e lasciati soli davanti all’azione impietosa del tempo in cui il videomaker vaga, lasciandosi affascinare dalla suggestione del momento. Attraverso la macchina da presa nel suo Seaports, Matteo Giacchella coglie gli stimoli offerti dall’esterno, a partire dall’osservazione ciò che gli è familiare, come il porto di Ancona. E poi si apre a quelli del Mediterraneo, in un’operazione che omaggia la potenza formale del progetto anonimo di ingegneria, per usare le parole di Le Corbusier e pone al centro dell’opera le strutture e gli edifici industriali, mentre l’uomo resta in secondo piano.
E dopo aver osservato questi grandi spazi aperti sul mare, Matteo Giacchella si sposta al chiuso, con Intruders, Urban Explorers, un progetto che condivide con un gruppo di amici fotografi, pensato per “rivelare la bellezze segrete di luoghi abbandonati in Italia”. Luoghi inaccessibili, dimenticati e lasciati , che solo in alcuni momenti di temporanea autonomia rivivono, vibrando con i bassi di un rave techno che li ripopola nell’arco di una notte o riempiendosi di colore quando qualcuno, bomboletta alla mano, scavalca un cancello e si mettere a dipingere, indisturbato nella quiete dell’assenza. Fotogramma dopo fotogramma, in un crescendo poetico il film-maker anconetano accarezza questi luoghi costruiti dall’uomo e poi abbandonati, lasciati a consumarsi, inghiottiti tra ruggine e muschio. Luoghi ricolonizzati da ragni e piccioni, dove l’uomo ormai è solo un intruso, dove la natura si è ripresa sfacciatamente lo spazio che le è stato tolto. Dell’uomo rimangono solo i resti. Ciò che è stato abbandonato, dimenticato, scartato perché non più utile, dalle pagine ingiallite di un vocabolario di francese, a una sedia a rotelle, a un colapasta. Oggetti che inutilizzati, perdono la loro funzione e restano lì orfani di se stessi, diventando semplici resti di un’umanità consumista, così disperatamente in corsa verso il futuro da rischiare di dimenticare se stessa.
Ed è qui che interviene la subcultura, che nei suoi spazi marginali, sfuggenti a controllo e a normalizzazione, interviene scardinando i sistemi di significato della cultura dominante e con i suoi stessi codici e scarti genera una nuova mitologia contemporanea, come avviene nel caso dello steampunk. Qui l’estetica del Do It Yourself del punk si fonde con un gusto vittoriano e retrò. Produce ossimori utilizzando residui tecnologici, che danno vita a creature mitiche provenienti da un futuro impossibile (?) e inquietante, come l’androide protagonista di Contrappassouno, il pluripremiato stop-motion realizzato da Matteo Giacchella in collaborazione con lo scultore, attore e scenografo Massimo Niba Barbini. Frame dopo frame i fili elettrici si fanno vene, bulloni e ferro diventano giunture e dentro un cranio squarciato di celluloide, un cervello di carne fresca in spezzatino, pulsa infestato dai sette vizi capitali e tormentato dalle radiazioni di un tubo catodico malefico. A segnare il ritmo di questa tortura per contrappasso una colonna sonora firmata da Eolo Taffi e realizzata anche con un Controbidone, “uno strumento costruito con materiali di riciclo”.
Ora che siamo in Overshoot, ossia ora che l’umanità ha esaurito le risorse e il budget naturale della Terra è in rosso, un’operazione come quella di Giacchella è anche un richiamo a riflettere sul nostro consumismo, più o meno indotto dai media, sulla reale necessità di avere tutto ciò che abbiamo e sul potere trasformatore della creatività, che può generare e rigenerare nuovi significati e pratiche. Lo insegna la fisica, la filosofia e la natura stessa. E mentre in terra nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma, decade, si consuma o diventa nuova vita – mutante – come quella dell’androide di Contrappassouno, nel cielo della poetica videoinstallazione Limbo, le nuvole ignare e indifferenti a noi e continuano la loro corsa verso il disfacimento e la ricreazione. Come il tempo che scorre, ci è impossibile fermarle, si può solo vivere l’esperienza della loro bellezza.
This is your life. And it’s ending one minute at a time.
Tyler Durden in Fight Club. Chuck Palahniuk
Autunno 2011
VideoCorsaro
di Riccardo Lisi
L’immagine in movimento ha per definizione e struttura rapporto con lo svolgersi del tempo, da noi per abitudine percepito come variabile continua e orientata solo in un verso, linearmente.
Il giovane videoartista Matteo Giacchella (Ancona, 1978) lavora da alcuni anni modificando la diacronia appunto per noi abituale, giocando con la clessidra del tempo (in inglese Hourglass) che già fu simbolo di pirati capaci di decidere su vita e morte – e da lì venne tale simbologia. Egli utilizza con maestria sia la tecnica della stop motion (o passo uno, tipica dell’animazione, in cui il movimento video è emulato da sequenze di singoli scatti fotografici) che il time lapse, dove la dinamica degli oggetti ripresi è reale ma notevolmente accelerata.
Il suo utilizzo di queste tecniche spazia dalla consueta animazione con personaggi artificiali – come in Contrappassouno, realizzato tra 2005 e 2006 con ben undicimila scatti, in collaborazione con l’artista, scenografo ed attore Massimo “Niba” Barbini – a video d’ambiente, come Intruders, Urban Explorers, dove troviamo entrambe le tecniche suddette, al fine di rendere lo scorrere del tempo in un edificio industriale dismesso e simulare movimenti irreali di macchinari arrugginiti e coperti da ragnatele.
Contrappassouno ha ricevuto vari encomi per godibilità e qualità della tecnica a passo uno, che in Italia è poco usata e fu in passato sviluppata soprattutto nell’Est Europa, da autori quali Svankmajer e Trnka. Qui Giacchella tenta con successo di far dialogare le sculture di Niba con una colonna sonora realizzata appositamente e con la videoarte, creando un mondo fantastico ma in cui è leggibile una critica al lavoro ripetitivo ed alla manipolazione televisiva.
Nello spazio bino di Quattrocentometriquadri anche l’esposizione è suddivisa in due differenti proiezioni. La prima vede l’alternarsi di video in cui prevale un aspetto claustrofobico e polveroso, comprendente appunto i due video suddetti, oltre a Primopiano, filmato in Montenegro all’interno di un silos, ove la figura di un minuto ed anziano operaio ci conduce, quale Caronte, verso una misteriosa illuminazione, proprio al livello più profondo di tale luogo.
L’altra metà della galleria ospita la proiezione di quattro video più connessi al mondo vitale.
Limbo è un lavoro intensamente estetico basato su riprese in time lapse del mutar del cielo sopra vari territori della nostra regione. Nel finale s’intuisce il riferimento ad un ambito onirico cui mira il soggetto di questo filmato, realizzato appunto per un’esposizione sul tema dei sogni.
The Song of Paparuda è stato realizzato nel 2010 in un paesino rumeno dove convivono – sulle sponde opposte di un fiume – le etnie romena e gitana. Nei periodi di siccità vi si svolge un particolarissimo rito propiziatorio, eseguito dai bambini del villaggio, che creano un simulacro di uomo – chiamato appunto Paparuda – e lo adagiano su una sorta di zattera, circondato da candele accese, per poi farlo andare con la corrente fluviale. Mentre fan ciò cantano la filastrocca che da il titolo a questo filmato, in cui emerge la capacità di Matteo Giacchella d’inserire una propria cifra stilistica in ogni sua realizzazione. Qui non si tratta di un mero documentario etnografico: s’evidenzia lo sguardo empatico d’un autore capace di poesia ma anche di peculiari invenzioni narrative.
Il pedale rispetto alla dinamica dell’asse temporale Giacchella lo esercita anche in spazi ben più antropizzati, come i grandi porti – tra cui si riconosce quello anconetano – in cui è stato girato Seaports.
Il ritmo imposto da questo montaggio assiema una base audio techno ad immagini in cui navi immani corrono in modo innaturale, sormontate da tanti omini lillipuziani che si muovono freneticamente.
Questi non luoghi – assai estranianti – son abitati da una fauna composta da ciclopiche gru e carriponte, che già ispirarono artisti come in Italia Andrea Chiesi. Evidente è la percezione della globalizzazione di questi luoghi, dove ritroviamo – dall’altra parte del globo – containers con i medesimi loghi, macchinari simili e le stesse navi che naturalmente fan la spola da un porto all’altro.
La sua capacità narrativa si nota anche in Piccola Trama Sdrucita, filmato sulla memoria in tre paesi dei Monti Sibillini, per la cui Comunità Montana esso è stato girato. Un’attività tradizionale – la tessitura a telaio – viene movimentata dalla “fuga” di una matassa vermiglia che percorre l’intero territorio fatto di strade e scalinate in discesa, ponti su ruscelli e panorami montani. Anche qui la sperimentazione tecnica ravviva la visione: buona parte delle immagini sono in bianco e nero salvo pochi oggetti latori di forti cromatismi, come la matassa suddetta.
In generale questa serie di video segnala la natura meticcia di Giacchella tra un concetto personale d’arte, assai “potabile”, tecnica di ripresa e montaggio ed abilità nella scrittura filmica, a originare una videoarte forse di nicchia ma mai affetta da noia, rischio frequente in quest’ambito del contemporaneo.
Riccardo Lisi
Matteo Giacchella (Ancona, 1978).
Vive e lavora ad Ancona come video maker freelance.
Dopo una laurea al D.A.M.S. di Bologna con una tesi sulla stop-motion, lavora come operatore, assistente e montatore per videoclip musicali, cortometraggi, documentari, spot e lungometraggi. collaborando anche con il Centro Sperimentale del Cinema di Roma.
Nel 2007 il videomaker firma la regia di Contrappassouno, opera prima d’animazione vincitrice del ResFest 2007 promosso da Cult Network e Fox Channel, del premio Kaibakh Arti di Castione della Presolana ed inserita all’interno del dvd Animazioni. Il cortometraggio in stop motion di Giacchella è stato anche selezionato in oltre 30 festival in tutto il mondo, dal Busan International Film Festival in Corea, ai David di Donatello, dove è stato segnalato come uno dei venti migliori lavori.
Due anni dopo Matteo Giacchella, nell’ambito della rassegna d’arte contemporanea Nuove Sviste di Jesi, presenta la raccolta di video Frammenti e partecipa al workshop internazionale R.I.V.E.R. Project in Romania. Portano il suo nome anche le videoinstallazioni Limbo presentato durante l’happening Notte Nera di Serra dei Conti e proiettato al festival CuprArte di Cupramontana e a RiCreazione, la tre giorni anconetana dedicata all’arte contemporanea. Un video parte del suo progetto Intruders, Urban explorers è stato presentato all’Atelier dell’Arco Amoroso di Ancona, alla Rocca Roveresca di Senigallia e al Festival della Filosofia di Modena.
Tra i progetti di Giacchella anche i video per lo spettacolo teatrale Io Sono Internazionale di Rebecca Murgi e Lucia Mascino, prodotto da AMAT e Teatro Stabile delle Marche, a cui si aggiungono i clip musicali realizzati per le band Rasklatt 5, Banana Spliff e Butcher Mind Collapse.
Dal fare all’insegnare: il videomaker anconetano ha tenuto anche una serie di workshop di cinema d’animazione per bambini ed adolescenti, tra cui uno in collaborazione con il regista lettone Janis Cimermanis.
Informazioni:
HOURGLASS
Matteo Giacchella
Videoproiezioni
Testi critici di Serena Valietti e Riccardo Lisi
INAUGURAZIONE MERCOLEDÌ 16 NOVEMBRE 2011, 18.30
After drinks!
QUATTROCENTOMETRIQUADRI gallery
Via Magenta 15, Ancona
Fino a domenica 20 novembre 2011
ORARI: da giovedì 17 a domenica 20, 18.00-20.00
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INGRESSO LIBERO