A salire sul banco degli imputati è House of Cards, thriller politico scritto da Michael Dobbs, politico inglese attualmente membro della Camera dei Lord. Il romanzo è stato scritto nel 1989, vale a dire un quarto di secolo fa. Tuttavia, la sua traduzione italiana è stata pubblicata solo quest’anno, sull’onda del successo critico dell’omonima serie televisiva americana avente per protagonisti gli acclamati Kevin Spacey e Robin Wright; ma a dispetto dell’egocentrismo mediatico dello zio Sam, che ha trasferito la vicenda in Campidoglio, il graffiante thriller britannico è ambientato in casa della Regina, tra Westminster e Downing Street. E così, Londra viene politicamente messa a nudo, svelando il suo volto più scandaloso, perverso e disarmante.
Al centro di tutto, l’inquietante protagonista, il parlamentare conservatore Francis Urquhart: costui, che da sempre lavora dietro le quinte del partito senza gloria e riconoscimenti pubblici, è il deus ex machina del romanzo. Ma a differenza dell’escamotage del teatro greco, Urquhart non si propone di guidare l’instabile situazione politica del Paese in un porto sicuro: al contrario, la trascina nel cuore di un’irresistibile burrasca.
Quest’uomo dal fascino ambiguo, un “patrizio solitario e aristocratico”, come viene descritto nel libro, è il burattinaio invisibile di una vicenda incalzante, pungente, costellata di intrighi e colpi di scena; né i personaggi che ripongono la loro cieca fiducia in lui, né tantomeno il lettore, possono rimanere indifferenti di fronte al carisma del navigato parlamentare.
Vedendosi negare all’improvviso la possibilità di ricevere una carica più prestigiosa e concreta dal Primo Ministro, Urquhart decide di sfruttare tutte le conoscenze dei torbidi segreti di Westminster, accumulate in anni di onorato servizio, per scatenare l’impossibile. E allora un complotto ingegnoso, violento e sofisticato travolge l’intera classe politica britannica e uno sbalordito lettore.
Sì, perché i giochi di potere magistralmente descritti in questo libro vibrano di attualità, e ammiccano al lettore italiano così come a quello britannico, nel 1989 e ai giorni nostri; e non si può fare a meno di notare che, se il potere è il vero, accecante protagonista di questa emozionante mattanza politica, coloro per cui il potere è esercitato, quegli elettori che votano e sperano e vivono la quotidianità di una nazione dilaniata da conflitti d’interesse, sono totalmente assenti. Le tenebrose Houses britanniche sono un campo d’azione accessibile al pubblico solo una volta che i giochi sono stati decisi.
Ad aiutare il lettore nell’identificazione di ruoli ed entità politiche e burocratiche britanniche, poco popolari rispetto a Casa Bianca e Congresso oltreoceano, una trentina di note, sparse in tutto il libro; infine, la breve postfazione di Michael Dobbs ci ricorda che il romanzo è stato scritto da qualcuno che in Parlamento si è seduto per molti anni. Quest’ultima considerazione, in punta di libro, lascia il lettore a fissare meditabondo la quarta di copertina, mentre una vaga consapevolezza lo avvolge lentamente e un inconfondibile retrogusto amaro gli pizzica la lingua.
Perché House of Cards è brillantemente, smaccatamente colpevole.
Mariachiara Eredia
Michael Dobbs, House of Cards, Fazi Editore 2014, 444 pp, 14,90 euro.