Howard Buten, Mister Butterfly, Tranchida

Creato il 19 settembre 2010 da Atlantidelibri

Howard Buten (Detroit, 1950) è uno scrittore statunitense, che vive e lavora in Francia. È anche psicologo, clown e violinista. È autore di sette romanzi, di cui il primo, Quando avevo cinque anni, mi sono ucciso (When I Was Five I Killed Myself), pubblicato nel 1981, ha ottenuto un grosso successo di pubblico, e gli ha garantito una schiera di fedeli lettori.  Un libro molto amato anche in Italia, di cui pubblichiamo la scheda in calce.

Quando da giovane Howard Buten dovette affrontare l’autismo del suo primo figlio, fu stordito e consumato da un solo pensiero: come sarà essere come lui? Oggi, 30 anni dopo, questa domanda continua a modellare la vita di Buten, nel suo lavoro come ricercatore, psicologo clinico, terapeuta e fondatore del Centre Adam-Shelton, una nota clinica per autistici a Parigi.

È anche un clown teatrale con il nome d’arte di Buffo, molto conosciuto in Francia e in Europa. E, guarda caso, il protagonista di questo toccante libro è proprio un clown, che decide di prendersi cura di quattro bambini segnati da handicap fisici e psichici. Sarà il suo approccio non convenzionale al loro stato ad aprire uno spiraglio nelle loro vite, a permettere loro di essere considerati come persone e non come “problemi”. Howard Buten ama il suo lavoro ed i bambini, e con la sua scrittura e la sua dolce ironia è capace di farci guardare ai piccoli che ci circondano con occhi nuovi.

Howard Buten, Mister Butterfly, Tranchida

Ralph, Mickey, Harold e Tina sono quattro bambini diversi dagli altri, segnati da handicap fisici o psichici.
La loro vita trascorrerebbe nell’abbandono di un istituto come tanti, se qualcuno non decidesse di adottarli.
Ma questo qualcuno è un clown, e non tutti sono disponibili a prendere sul serio i suoi sistemi educativi, inconciliabili con i criteri autoritari e repressivi applicati dalla psichiatria tradizionale. I quattro piccoli handicappati, che nessuno sembra disposto a considerare bambini a tutti gli effetti, scoprono un padre adottivo trasgressivo e irriverente, che con le sue invenzioni trova una via di comunicazione con il loro
mondo interiore in apparenza “alieno”, e forse anche un modo per guarirli.
Le vicende tragicomiche di questa famiglia un po’ buffa e un po’ disperata sono narrate con humour leggero eppure profondamente serio, che non nasconde la
crudezza e l’orrore di certe situazioni e non si abbandona mai alla tentazione del pietismo, rivendicando semplicemente il diritto a non essere “normali”, in un elogio della diversità che riguarda non solo i cosiddetti casi clinici, ma tutti quelli che dolorosamente si sforzano di fare accettare la propria nuda umanità, e di accettare quella altrui. Tutti quelli che si ostinano a lasciare socchiusa la porta di casa

A volte, quando schiudo i miei sogni, vedo Howard Buten vestito da Buffo (…).
È impossibile per me non comunicarvi l’immenso desiderio che ho di vedervi felici con lui. E dato che state fatalmente per leggere Mister Butterfly, lavatevi gli occhi fino a farli brillare. Ritornate bambini. Imparate ad apprendere. Soprattutto, non irrigiditevi. Vedo già dei progressi. In capo a due-tre pagine, le soddisfazioni saranno così grandi che sorriderete senza volerlo. La testa lascerà lentamente le vostre spalle e, mentre arriverete ad altezze vertiginose, sentirete un rumore di papillon nelle orecchie.
Howard Buten vi avrà passati al setaccio. Da allora,aspettatevi di trovarvi a decifrare il canto degli uccelli al contrario.» Jean Vautrin

ecco la scheda del libro che lo ha fatto conoscere a pubblico e critica.
Howard Buten, Quando avevo cinque anni mi sono ucciso, Tranchida

Un romanzo d’amore narrato da un ragazzino di otto anni che, grazie o a causa della sua “anomalia”, turba e disturba. Burt è vittima della stupidità degli adulti che trasformano i suoi sogni in sintomi clinici e il suo amore in attentato. Per quello che ha fatto a Jessica (?), precoce e deliziosa compagna di scuola tutta sguardi torbidi e ammiccamenti, il protagonista viene rinchiuso in un istituto di neuropsichiatria infantile. E qui, sulle pareti della Stanza del Riposo dove viene confinato alla minima infrazione, egli ci racconterà la sua storia avvincente, sconvolgente e struggente. Una storia da ridere o da piangere, narrata in una lingua spogliata da qualsiasi orpello con cui per lo più la società degli adulti e dei buoni sentimenti ama infiorare e travestire l’essenza pur di non farla trapelare. La lingua di Burt è la lingua dell’innocenza, la lingua dell’uomo e dei suoi valori più veri prima del “peccato”, prima della comparsa di quel pensiero logico-raziocinante e onnipervadente che ha esteso la sua legge fino a renderla assoluta e unica, Burt si riprende quanto gli è stato tolto: l’altro mondo, quello del gioco, del sogno, del mistero, del non detto, della poesia, del sottosuolo, della trasgressione, quel mondo, insomma, che gli adulti assennati e genitori hanno strategicamente confinato in spazi precisi, controllabili e marginali, quasi a voler codificarne e ufficializzarne la rimozione.
Il sonno della ragione produce mostri, ma, come dimostra il protagonista di questa vicenda, né li sa eliminare né recuperare alla sua logica. E questi diabolici figli dell’oblio riemergono a ogni piè sospinto a ricordare al mondo che, al di là di tutte le logiche razionali e ineccepibili, di tutte le scuole e di tutta la psichiatria, l’amore e la poesia amano annidarsi spesso tra loro e privilegiarli quali custodi del nonsense più liberatorio.



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