Dopo averci abbagliato con il mirabolante dinamismo della cinepresa, utilizzata non solo nella sua propensione cinetica ma anche ordinativa - quello della stazione per natura dispersivo e frammentario diventerà un mondo regolato da leggi e principi - Scorsese si tuffa anima e corpo nella vicenda di un uomo sepolto nell’oblio che lui stesso si è costruito per annegare l’amarezza di un tempo grande si ritrova a vivere nel più assoluto anonimato Ed è proprio nel raccontare la parabola di un artista prima dimenticato e poi riscoperto grazie alle attenzioni del giovane protagonista che Scorsese fa rivivere se stesso sullo schermo: Méliés infatti nell’economia del film rappresenta non solo l’amore per il cinema ma anche la vicenda autobiografica del regista italo americano, dapprima escluso dalle grandi produzioni e poi definitivamente rilanciato dal sodalizio con Leonardo Di Caprio, per Scorsese un Hugo Cabret in carne ed ossa. Un identificazione totale quindi, spirituale ed anche fisica, con il mitico pioniere che però finisce per attenuare la potenza del ritratto iniziale, relegando le vicissitudini del piccolo protagonista a quelle autoriali e personali dell’autore. Un peccato veniale condivisibile se non fosse per quella sensazione di scollamento tra le due vicende, quella dell’orfano in cerca di una famiglia, e quella di Méliés, in cerca del suo pubblico, che neanche l’incontro tra i due personaggi, suggellato da un finale di ritrovata normalità riesce a far dimenticare. Così la sincerità degli intenti deve fare i conti con la parziale artificialità del risultato. Una coesistenza che Scorsese tiene in piedi più con il mestiere che con il cuore. Il piacere rimane in superficie, come un lembo di pelle destinato a staccarsi dopo lunga abbronzatura. Si goda il sole il vecchio Martin, ad accendere i falò ci penserà qualcun’altro.
Dopo averci abbagliato con il mirabolante dinamismo della cinepresa, utilizzata non solo nella sua propensione cinetica ma anche ordinativa - quello della stazione per natura dispersivo e frammentario diventerà un mondo regolato da leggi e principi - Scorsese si tuffa anima e corpo nella vicenda di un uomo sepolto nell’oblio che lui stesso si è costruito per annegare l’amarezza di un tempo grande si ritrova a vivere nel più assoluto anonimato Ed è proprio nel raccontare la parabola di un artista prima dimenticato e poi riscoperto grazie alle attenzioni del giovane protagonista che Scorsese fa rivivere se stesso sullo schermo: Méliés infatti nell’economia del film rappresenta non solo l’amore per il cinema ma anche la vicenda autobiografica del regista italo americano, dapprima escluso dalle grandi produzioni e poi definitivamente rilanciato dal sodalizio con Leonardo Di Caprio, per Scorsese un Hugo Cabret in carne ed ossa. Un identificazione totale quindi, spirituale ed anche fisica, con il mitico pioniere che però finisce per attenuare la potenza del ritratto iniziale, relegando le vicissitudini del piccolo protagonista a quelle autoriali e personali dell’autore. Un peccato veniale condivisibile se non fosse per quella sensazione di scollamento tra le due vicende, quella dell’orfano in cerca di una famiglia, e quella di Méliés, in cerca del suo pubblico, che neanche l’incontro tra i due personaggi, suggellato da un finale di ritrovata normalità riesce a far dimenticare. Così la sincerità degli intenti deve fare i conti con la parziale artificialità del risultato. Una coesistenza che Scorsese tiene in piedi più con il mestiere che con il cuore. Il piacere rimane in superficie, come un lembo di pelle destinato a staccarsi dopo lunga abbronzatura. Si goda il sole il vecchio Martin, ad accendere i falò ci penserà qualcun’altro.
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