Hugo Pratt, viaggiatore incantato

Creato il 14 aprile 2010 da Walter_fano @walterfano
"Avevo quattro o cinque anni, forse sei, quando mia nonna si faceva accompagnare da me al Ghetto Vecchio di Venezia. Andavamo a visitare una sua amica, la signora Bora Levi, che abitava in una casa vecchia. A questa casa si accedeva salendo un’antica scala di legno esterna chiamata “scala matta” oppure “scala delle pantegane”, o ancora “scala turca”. La signora Bora Levi mi dava un confetto. una tazza di cioccolata bollente e densa, e due biscotti senza sale. che non mi piacevano. Poi lei e la nonna, immancabilmente, si sedevano e giocavano a carte, sorridendo e sussurrando frasi per me incomprensibili. E così, a me non restava che passare minuziosamente in rassegna tutti i cento medaglioni appesi alla parete di velluto rosso scuro, che mi osservavano dai loro ovali di vetro. Dico che mi osservavano, perché questi medaglioni racchiudevano vecchi ritratti di severi signori in uniformi asburgiche o di rabbini con treccine nere e feltri a larghe tese. E tutti sembravano fissarmi con un’insistenza che certo sconfinava nell’indiscrezione. Un po’ imbarazzato andavo alla finestra della cucina e guardavo giù in un campiello erboso con una vera da pozzo coperta di edera. Quel campiello ha un nome: Corte Sconta detta Arcana. Per entrarvi si dovevano aprire sette porte, ognuna delle quale aveva inciso il nome di un shed, ossia di un demonio della casta dei Shedim, generata da Adamo durante la sua separazione da Eva, dopo l’atto di disubbidienza . Ogni porta si apriva con una parola magica, che era poi il nome del demone stesso.
Li ricordo ancora quei nomi terribili: Sam Ha, Mawet, Ashmodai, Shibbetta, Ruah, Kardeyakos, Nà Amah.
Ricordo che un giorno la signora Bora Levi mi prese per mano e mi condusse nella Corte Sconta illuminando il cammino con un “menorah”, il candelabro a sette braccia, e ogni volta che apriva una porta soffiava su una candela. La corte era piena di sculture e graffiti: un re armato di arco e frecce, a cavallo di un dio; un neonato; una cacciatrice anch’essa con arco e frecce; una vacca con un occhio solo; una stella a sei punte; un cerchio tracciato nei suo1o con lo scopo di far ballare una ragazza nuda; i nomi degli angeli caduti o veleni di Dio, Samael, Satael, Amabiel. La signora ebrea mi parlava di tutte quelle cose, rispondendo alle mie domande. Poi apriva una porta sul fondo della corte e mi faceva passare in una calle con le erbe alte, che conduceva in un altro campiello bellissimo e che molto più tardi ritrovai uguale e pieno di fiori in una casa della Juderia di Cordoba.
Ricordo che nella Corte Sconta c’era una signora molto bella, sempre circondata da bambini e fanciulle che giocavano attorno a una farfalla gigante di vetri colorati. Era Aurelia, la farfalla gnostica.
La gnosi rappresentando se stessa come fonte inesauribile di sapienza e offrendo, in mille riflessi di vari colori, quello che ognuno desidera..."
(Hugo Pratt)
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“Vustu che mi te insegna a navegar?
Vate a far una barca o una batela,
Co ti l’a fata, butila in mar,
La te condurà a Venezia bela”.
Così recita una delle delicate Villotte Veneziane. Pratt, invece, ha fatto in qualche modo il percorso inverso. Dopo l’infanzia veneziana ha girato il mondo e la sua barca l’ha condotto lontano, dall’Africa al Sud America.
Questo tuttavia non lo ha snaturato: una volta imparato “a navegar” a Venezia, è stato ben capace di solcare tutti i mari, ovunque riscoprendo – in un angolo, in un’atmosfera, in un personaggio – Venezia,
e a Venezia poi ritrovando luoghi, colori, sensazioni dei più sperduti posti del globo.
Sì, un viaggiatore incantato. E di tanta sua meraviglia ci ha fatto partecipi. Quanti tramonti esotici, quanti inseguimenti, quante avventure abbiamo vissuto insieme a Corto Maltese!
Umberto Eco ha definito Pratt “il Salgari dei nostri tempi”, ma se Sandokan è l’eroe perfetto, Corto è l’uomo del nostro tempo, è Ulisse nel cuore e nella mente. E infatti, quale altro aggettivo meglio si adatta a Corto se non il “politropos” che Omero straordinariamente scelse per il re di Itaca?
Amava dire Pratt: “Mi diverte essere inutile”. Era una sfida, uno sberleffo contro chi si ostinava a non capirlo e a non coglierne la grandezza d’artista. Ma era anche la semplice verità.
Certo che si divertiva, perché lui sapeva “andare in altre direzioni”, uscire dal gregge, prendere il largo. E certamente era inutila, perché non si faceva usare.
Era inutile come i racconti d’avventura, inutile come i sogni, come la dolce trasgressione.
Inutile… o no?
(Massimo Cacciari)
 

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