Humanistic Management, nuove pratiche di “storytelling”

Creato il 22 luglio 2011 da Scrid

E’ con un certo orgoglio che vi annuncio la presenza su Storia Continua di un ospite illustre: Marco Minghetti, ideatore della Living Mutants Society, autore collettivo che ha firmato il progetto de “Le Aziende InVisibili” (2008) e proprio in questi giorni lancia online “La Mente In-Visibile” wiki-romance, seguito di quel primo esperimento di “scrittura mutante”.

Se non sapete cosa sia la scrittura mutante, ma siete appassionati di Web, mashup, wiki, open source, e siete curiosi di sapere come queste pratiche si possano applicare alla letteratura, vi consiglio di non perdervi questo e i prossimi appuntamenti con Marco Minghetti, ogni venerdì qui su Storia Continua.

Cominciamo subito con le presentazioni:

Living Mutants Society è un gruppo di 98 persone che rappresenta l’eccellenza italiana a trecentosessanta gradi: solo a titolo esemplificativo (mi scuso con tutti gli altri) vi sono economisti (Giulio Sapelli, Paolo Savona), sociologi (Aldo Bonomi, Francesco Morace), filosofi (Carmelo Vigna, Pier Aldo Rovatti), politici (Walter Veltroni, Pierfrancesco Majorino), manager (Innocenzo Cipolletta, Paolo Gai), giornalisti (Walter Passerini, Enzo Riboni, Giovanni Anversa) attori (Enrico Bertolino, Lucilla Giagnoni), registi (Cinzia Bomoll) cantanti (Valeria Rossi), deejay (Alessio Bertallot), Miss Italia (Gloria Bellicchi), astronauti (Roberto Vittori), teologi (il Vescovo Antonio Stagliano’). E ovviamente un robusto gruppo di scrittori (Alessandro Zaccuri, Rossella Milone, Antonella Cilento…).

La sfida che hanno accettato: racchiudere la propria conoscenza umana e professionale – i sogni, le emozioni, le esperienze – in un breve apologo, che rivisita una delle “Città Invisibili” di Italo Calvino, divenendo al tempo stesso uno dei centoventotto episodi del romanzo “Le Aziende In-Visibili”, pubblicato nel 2008. Si è così aperta la strada ad una ricerca individuale e collettiva che, grazie alla forza dell’analogia, varca i confini del tradizionale modo di guardare al mondo imprenditoriale e utilizza la metafora dell’azienda per parlare della nostra contemporaneità. Un approccio dunque innanzitutto analogico che, in prima battuta, consente di giocare con lo specchio rappresentato dal testo di Calvino.

L’operazione nasce da riflessione metadisciplinare sviluppatasi inizialmente in un settore apparentemente lontanissimo dalla letteratura: il management. Questa riflessione si è sviluppata inizialmente intorno alla rivista «Hamlet» (da me fondata nel marzo 1997 e diretta fino al luglio 2003); è stata descritta in termini teorici generali nel Manifesto dello Humanistic Management (Etas, 2004); approfondita nei volumi L’Impresa shakespeariana (Etas, 2002, illustrato da Milo Manara), e Nulla due volte (Scheiwiller, 2006), che ho scritto in collaborazione con il Premio Nobel per la Letteratura Wislawa Szymborska.
Ho chiamato l’approccio messo a punto in questo percorso “Humanistic Management”. E’ basato sul concetto che la ormai acclarata crisi del fordismo (inteso non solo come modello economico e operativo, ma soprattutto come modello cognitivo e comportamentale) rende ineludibili una teoria e una prassi alternative allo Scientific Management, non solo dominante ancor oggi in tutte le organizzazioni, industriali e di servizio, ma che ormai pervade ogni nostro comportamento sociale, pubblico e privato. Lo strumento principale di cui si avvale lo Humanistic Management è l’apertura alle nuove frontiere dischiuse dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ma al tempo stesso anche ad ambiti profondamente radicati nella tradizione dell’umanesimo europeo, che l’impresa ha sempre considerato a sé estranei, come la filosofia, la poesia, il cinema e il teatro.

Al fondo di tutto se vogliamo vi è ancora e sempre il testo di Francois Lyotard “La condizione postmoderna” (Feltrinelli, 1979). Qui si tematizza la fine delle “grandi narrazioni” che hanno orientato trasversalmente i saperi moderni. Se non possediamo più metanarrazioni che ci orientino tra i saperi, di quei saperi dobbiamo – invece -recepire il dismorfismo, la dialettica, l’iter disseminativo.

In grande sintesi e in termini più semplici, oggi più che mai abbiamo bisogno, sia dentro sia fuori dall’ambito lavorativo, di “sensemakers”, di persone in grado di ritrovare il significato perduto nella vita individuale e di relazione non più attraverso la catalogazione omologante della realtà da parte degli “esperti” del Pensiero Unico di ogni settore, ma attraverso un operazione di narrazione (storytelling) condotta da ciascuno da solo ed insieme agli altri per esplorare le molteplici forme, continuamente mutevoli, che il mondo può assumere. Perché -come dice un personaggio de “La Mente InVisibile” – il mondo si crea con la parola e c’è ben poca differenza fra creare, raccontare e ricordare.

Sotto questo aspetto “La Mente InVisibile” va ancora oltre la sperimentazione de “Le Aziende InVisibili”. Se nel primo caso si è lavorato soprattutto sulla metadisciplinarietà, in questa seconda esperienza abbiamo approfondito il versante propriamente narrativo. Per questo ho creato una “Limited Edition” dell’originale compagine, formata unicamente da scrittori, anche se con caratteristiche molto diverse l’uno dall’altro.

Ringraziamo ancora Marco Minghetti per lo spessore del suo intervento e vi diamo appuntamento a venerdì prossimo con un esempio pratico di “scrittura mutante”.


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