E’ vero, è stato uno dei film più reclamizzati dell’ultimo anno, ma alla fine il polverone lo hanno fatto gli addetti ai lavori che proprio per questo ne hanno parlato a profusione aumentando ancora di più la pubblicità. Il nuovo fenomeno adolescenziale degli anni Dieci? Bah, vedremo con i seguiti (due). Il nuovo Twilight? Decisamente no. Un Battle Royale edulcorato for dummies? Nì. Un discreto film d’intrattenimento con qualche velleità sociologica? Questo è già più ragionevole.
Veniamo alla storia: in un prossimo futuro il Nord America si chiama Panem (et circenses…vabbè questa era troppo facile) ed è diviso in 13 distretti. Uno di questi li ha assoggettati tutti e affinchè non ci siano più ribellioni e la gente non perda memoria di quanto avvenuto, ogni anno gli altri 12 devono sorteggiare due candidati, un maschio e una femmina, che si andranno a sfidare in un reality mortale, gli Hunger Games appunto, dal quale solo uno uscirà vincitore.
Con il sorteggio dei candidati e il suo inevitabile (non) colpo di scena, si entra poi nel vivo della pellicola, quella in cui inizia anche la descrizione della “società dello spettacolo”, ovviamente un po’ ingenua e facilona ma non del tutto disprezzabile. I 24 partecipanti ai giochi sono le vittime di uno show che tutti i distretti seguono e che produce ingenti guadagni. I suoi protagonisti diventano per qualche giorno star amatissime su cui gli sponsor investono, a questo proposito è carina l’idea dei “power-up” che questi ultimi possono far recapitare ai concorrenti durante il gioco (anche se si trasformano in facili deus ex machina). Per concludere il metaforone c’è anche una mega-regia alla The Truman Show dalla quale grandi fratelli in carne e ossa interferiscono sui giochi per rendere più interessante lo spettacolo. Come si diceva nulla di nuovo, e sentire un personaggio dire “Se gli Hunger Games non li guardasse più nessuno, scomparirebbero” non ci rivela certo chissà quale grande verità, ma per il pubblico adolescente al quale è diretta la pellicola, si può dire che la critica venga posta in maniera dignitosa.
A parte questo però, il resto è tutto sbagliato.
Una mobilissima telecamera a mano azzera la violenza nelle scene di lotta non permettendo di capire granchè di quello che accade sullo schermo, le uccisioni avvengono quasi tutte fuori campo, di sangue (digitale) ne viene mostrata una goccia nella mattanza iniziale. Il risultato è una caduta di ritmo costante fino alla moscissima mezz’ora conclusiva (finale compreso) nella quale non si percepisce alcun pathos, nessun senso di tragedia o disperazione nella sorte di ragazzi costretti a uccidersi tra loro. Invece di alzare la temperatura emotiva del film creando i presupposti per essa, Ross (e la produzione) salta i preliminari cercando di andare direttamente alle conclusioni procedendo col pilota automatico e lascia, di conseguenza, piuttosto freddini.
Il risultato, considerate le intenzioni e il target che il film si propone, non è comunque da buttare; Ross azzecca delle buone trovate, soprattutto nella prima parte, che mi hanno piacevolmente colpito e riesce a rendere sopportabili ben due ore e venti di durata, ma poi deve soccombere alle logiche del film per young adult spacca-botteghino, con tutti i suoi endemici difetti.
EDA