Il dilemma, in fondo, è sempre lo stesso: fare un episodio unico o dividerlo in due parti?Prima di "Hunger Games" c'erano passati anche "Harry Potter" e "Twilight", scegliendo entrambi di dividere a metà la storia per permettere un racconto più approfondito e fedele alla carta stampata, nonostante la domanda spontanea da parte di chi poi andava a fruire del risultato fosse sempre la stessa: che bisogno c'era di fare due film?
Quesito da cui non sfugge neppure "Hunger Games: Il Canto Della Rivolta - Parte 1", chiusura definitiva della saga ideata da Suzanne Collins, inspiegabilmente spaccata in due parti e costretta per questo a fare i conti con una prima parentesi palesemente priva sia di carne al fuoco e sia di mordente. E' piuttosto chiaro infatti come la pellicola diretta da Francis Lawrence (confermato, dopo il secondo capitolo), fatichi perennemente nel trovare un metodo funzionale capace di ovviare alla grave mancanza d'azione che pervade la sua scena, trasmettendo, attraverso una costruzione fin troppo compassata e circolare, il peso di uno sforzo simile a quello di una stretta di denti, con cui prova ad attendere il lento approdo del taglio decisivo, limitando i danni e congelando la tensione su livelli medi, a malapena sopportabili. Probabilmente il modello di esposizione, in principio, doveva essere lo stesso utilizzato anche da Peter Jackson per il suo "Il Signore Degli Anelli" (il massimo per questo genere di operazioni), ovvero tentare di inserire più sottotrame possibili da chiamare in causa al momento opportuno, solleticare il pubblico a fasi alterne con sequenze spettacolari cosparse lungo la tappa e rimandare la grande resa dei conti per il grosso, agognato finale. Eppure qualcosa in "Hunger Games" - come per "Twilight" ed "Harry Potter" - sembra essere andato storto, chi avrebbe dovuto curare la caratterizzazione dei personaggi (specie di contorno) e la scrittura ha preferito lesinare, pagando ovviamente dazio e perdendone in idratazione e vantaggi.
Al contrario però Lawrence e il suo team tendono a stare lontano miglia e miglia da tutto questo, a sposare per la seconda volta la tattica che piuttosto bene aveva funzionato in "Hunger Games: La Ragazza Di Fuoco", pur avendo qui molto meno materiale per allungare il brodo e continuare a renderlo saporito. Il tuono roboante su cui si puntava per non perdere nulla della posta in palio viene quindi a mancare, sostituito da un acuto discreto, ma non in grado di rovesciare le sorti fiacche di circa due ore di vuoto quasi assoluto. Un vuoto a cui viene negata l'occasione di porre rimedio persino ai notevolissimi attori di contorno, che nonostante il poco spazio in scena, dimostrano di essere assai più in forma dei svogliati protagonisti.
Ma da Julianne Moore, Woody Harrelson e il compianto Philip Seymour Hoffman, il pubblico di "Hunger Games" non pare essere poi così attratto, per cui tanto vale evitare di andare a vedere cos'hanno da dire quelle strade ricche e più stimolanti di cui sopra, e accontentarsi delle vie strette, buie e stantie, le quali non saranno il massimo, ma per il box-office bastano e avanzano.
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