L’attesissimo film tratto dal primo capitolo della trilogia di Hunger Games (vedi la recensione su Cronache Letterarie) è sbarcato in anteprima in alcune sale, per poi dilagare in tutta Italia il primo maggio. L’ansia era tanta: il solito terrore misto a speranza che pervade il lettore appassionato quando si appresta a vedere, animato sul grande schermo, ciò che per anni ha immaginato solo nella sua testa. E più il libro è amato, più quel mondo vive dentro di te, più aumenta il rischio di una delusione cocente e il
Vieni catapultato dentro Panem e alle pagine scritte si sovrappone con maestria la parte materiale e visiva. Sposando fino in fondo il tratto narrativo del romanzo, la regia si addentra nel cuore della storia e nei sentimenti dei protagonisti in maniera asciutta, austera, senza concessioni all’enfasi o alla facile commozione, nonostante ce ne fossero tutte le occasioni. Evita anzi tutti i classici trucchetti, dai primi piani esasperati nei momenti di sofferenza, alla musica sparata per far montare la commozione: la bellissima colonna sonora di James Newton Howard viene usata con parsimonia e non è mai esaltata gratuitamente.
Nonostante questo, ci commuoviamo, empatizziamo, soffriamo.
Ci sono molti spazi di silenzio quando seguiamo Katniss nell’arena che cerca di organizzarsi per sopravvivere, quando cerca il cibo, quando si guarda intorno terrorizzata ma con una determinazione negli occhi che quasi spaventa. Come se aggiungendo qualsiasi effetto, il regista avrebbe distolto lo spettatore dallo stare con lei, dall’entrare nell’incubo surreale, ma concreto, che sta vivendo. E anche l’utilizzo importante della camera a mano sembra finalizzato a seguire la storia, il più possibile da dentro. I dialoghi sono centrati, coerenti con i personaggi che fanno vivere: vi si sente senza dubbio la mano di Suzanne Collins, autrice e cosceneggiatrice. Tanto essenziali sono quelli dei protagonisti coinvolti nei Giochi, quanto effimeri e plateali quelli di chi vi assiste, senza esserne toccato.
Liam Hemsworth è ancora troppo poco in scena per fare la differenza (avrà modo di rifarsi nei prossimi capitoli), ma ha sicuramente il phisique du role per l’antagonista Gale. Praticamente sovrapponibile al personaggio cartaceo è l’Haymitch di Woody Harrelson.
Forse si sarebbe potuta asciugare un po’ la prima parte a vantaggio di qualche scena in più nell’arena, non solo per scaldare maggiormente la linea romance, ma anche per sostanziare il legame tra la piccola Rue e Katniss. Inoltre la “strategia degli innamorati infelici” di Haymitch viene dichiarata palesemente ai due ragazzi, cosa che nel romanzo non viene fatta, col vantaggio di lasciare il lettore con l’intrigante dubbio su quali siano i veri sentimenti tra i due, fino alla fine.
Il film gode della fotografia di Tom Stern (ha fatto praticamente tutti gli ultimi film di Eastwood) che sostiene e sottolinea sapientemente il significato emotivo di ogni situazione: dalla solarità e i colori brillanti delle foreste del North Carolina che fanno da sfondo al Distretto 12, quando Katniss e Gale vanno a caccia ancora “liberi”, alla lividezza quasi monocromatica della scena della mietitura nell’attesa del verdetto, fino all’esplosione di colori a Capitol City, innaturale e isolata in un benessere apparente.
Negli Stati Uniti, dove è uscito il
Buoni Hunger Games a tutti. Il mondo starà a guardare.