Cuori affamati, cuori ossessionati e straziati quelli che racconta Saverio Costanzo nel suo ultimo lavoro Hungry Hearts, tratto dal romanzo Il bambino indaco di Marco Franzoso e presentato in concorso all’ultimo festival di Venezia, occasione nella quale si è portato a casa le due Coppe Volpi per le interpretazioni di Adam Driver, il disarmato padre in balia delle ossessioni maniacali della moglie, Alba Rohrwacher. I due si incontrano, si amano e progettano una vita insieme, ma ben presto si passa dall’amore alla follia estrema: Mina crede che il suo bambino sia speciale e per preservare la sua purezza e per evitare il contagio con il contaminato mondo esterno, si rinchiude nella casa-utero, il prolungamento del grembo materno che ha protetto e ospitato il suo bambino per nove mesi: non nutre il bambino con il cibo tradizionale e i medici e la medicina convenzionale sono banditi. All’inizio Jude asseconda il volere della moglie, ma ben presto si accorge che questo stile di vita può mettere in serio pericolo il bambino.
Costanzo, ancora una volta, prende ispirazione da un romanzo (prima era stato La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano) e si sofferma su un tema di grande attualità quello per cui il culto per un’alimentazione sana e corretta, spesso devia in incontrollabili estremismi che fanno più male che bene, e Costanzo dimostra di saper trattare questo delicato argomento con grande umiltà e senza prendere posizione, ma semplicemente facendo parlare le immagini che con l’uso ossessivo e a tratti disturbante del grandangolo restituiscono la soffocante impotenza che vive Jude; diviso fra mettere in salvo il figlio e difendere l’amore per la moglie.
Lo spettatore entra nelle vite di Mina e Jude in punta di piedi, quasi con distacco ( visto che in vari frangenti i caratteri dei due protagonisti risultano davvero insopportabili) per ritrovarsi, infine, immerso in una disperazione che sembra non avere una via d’uscita.
La colonna sonora di Nicola Piovani contribuisce a mettere l’accento sugli snodi cruciali della storia e interessante risulta l’utilizzo di una fotografia sporca e dal sapore retrò.
Saverio Costanzo riesce nell’impresa e può essere considerato uno fra i registi più internazionali che il cinema italiano abbia sfornato nell’ultimo periodo; con quel gusto autoriale, facilmente esportabile e apprezzabile, e quella voglia di differenziarsi che può essere solo di buon auspicio per il cinema nostrano.
Ho scritto questo articolo per il sito ciaocinema.it