Il commento di Elisabetta BartuccaSummary:
Alla scorsa Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia aveva già dato prova di aver fatto centro nel cuore del pubblico festivaliero e in quello della critica. Che “Hungry Hearts” (in sala dal prossimo 15 gennaio) fosse destinato a essere un grande film lo si capiva sin dalle premesse: girato in lingua inglese, con un cast d’eccellenza che proprio la Laguna consacrava pochi mesi fa con due Coppe Volpi agli attori protagonisti, Alba Rohrwacher e Adam Driver, e un regista, Saverio Costanzo che con un’opera che è abile mistura di generi firma il suo terzo lungometraggio.
Sono passati infatti poco più di dieci anni da quel “Private” che nel 2004 lo portava a conquistare il Pardo d’Oro a Locarno; ci sarebbero stati poi “In memoria di me”, selezionato per la Berlinale nel 2007 e “La solitudine dei numeri primi”, tratto dall’omonimo romanzo di Paolo Giordano e approdato in concorso alla 67° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, anche in quell’occasione con la Rohrwacher nei panni dell’interprete femminile. Ancora una volta il punto di partenza è un libro, ‘Il bambino indaco’ di Marco Franzoso, che Costanzo lesse un anno e mezzo prima di cominciare a scrivere la sceneggiatura: “Lì per lì mi respinse, il mio rapporto con questa storia è stato molto violento, fino a quando un anno e mezzo dopo cominciai a scrivere senza rileggere il libro, semplicemente ricordando quella storia come fosse un fatto di cronaca che qualcuno mi aveva raccontato. Non so se lo scrittore del libro – che il regista non ha mai incontrato durante la lavorazione del film – abbia avuto un’esperienza diretta con i fatti narrati e non so neanche se nella realtà siano accaduti davvero”.
“Hungry Hearts” commuove, scuote e racconta la storia di un amore, puro, forte, incontaminato fino all’ossessione. Prima la passione improvvisa tra Jude, ingegnere americano, e Mina, italiana trapiantata a New York, poi l’amore folle, totale di una madre verso il proprio figlio. I due infatti s’innamorano, si sposano e hanno un bambino. Ed è qui che l’incubo ha inizio: Mina è vegana ed è convinta di dover proteggere il piccolo dall’inquinamento e dalle impurità del mondo esterno, scegliendo per lui un tipo di nutrizione che rispetti la natura e ne preservi la purezza. Una scelta radicale che Jude, per amore della donna, deciderà in un primo momento di assecondare, fino all’emergere di una verità sconcertante: suo figlio non cresce ed è in pericolo di vita. Comincerà così una corsa contro il tempo per poterlo salvare.
Un viaggio che Costanzo articola muovendosi tra i toni intimisti del dramma e quelli del thriller psicologico, senza avere il tempo di fermarsi a pensare, ma facendosi guidare solo dall’istinto: “Ci siamo limitati a guardare la vita di questi tre personaggi con tenerezza, senza emettere un giudizio o prendere una posizione. È stata una catarsi per riuscire a guardare anche a me stesso con più amore e tenerezza. – ha ribadito più volte il regista – Non avevo nessun film di riferimento se non un certo approccio spregiudicato alla Cassavetes; abbiamo provocato una situazione in cui non c’era pensiero, tutto era deciso dall’istinto, la sceneggiatura era azione e non c’era spazio per la ragione o il citazionismo”.
Un film destinato a essere vissuto dagli occhi di chi lo vedrà e che trova nell’alchimia tra i due attori protagonisti il suo punto di forza.
di Elisabetta Bartucca per Oggialcinema.net