Non proprio Africa, ma tre Stati a cui siamo legati, eccome. Mi riferisco a Libia, Somalia ed Etiopia (da cui si è staccata l’Eritrea, qualche anno fa). I nostri rapporti con essi sono stati segnati da guerre, e colonialismo, e una volta che è tutto finito (più o meno), abbiamo voltato pagina. Sposando l’idea degli “Italiani brava gente”, quando in fatto di repressione e violenze, non siamo stati secondi a nessuno.
Nel 2006 Angelo Del Boca rivelava che presso gli archivi del Ministero degli Esteri ci sono migliaia di faldoni intonsi, relativi al colonialismo italiano. Una celebrazione autentica, non può passare solo attraverso la rassegna (legittima), dei successi raggiunti dal nostro Paese.
Bensì deve accompagnarsi a una riflessione onesta e accurata su quello che “laggiù” è stato commesso.
Va un po’ meglio con la letteratura: niente tirature clamorose, anche perché questi Paesi non sembrano avere il fascino dell’India, o del Giappone. Seppure in ritardo, il nostro Paese sta lentamente accorgendosi che i popoli al di là del mare sanno scrivere, e pure raccontare delle ottime storie.
Un po’ di tempo fa avevo indicato un interessante link scovato sul database delle biblioteche di Roma. C’è da restare impressionati dalla quantità di autori che vi si possono trovare, e si tratta naturalmente di opere tradotte nella nostra lingua. È anche l’occasione per conoscere piccole o medie case editrici che lavorano duramente, senza sussidi o aiuti di qualunque genere, per il solo piacere di creare ponti, agevolare la conoscenza.
Visto che le istituzioni paiono distratte o lontane da questo tipo di riflessioni, forse un buon modo per riparare all’indifferenza è avvicinarsi alla letteratura africana. Osservare coi loro occhi il mondo. Imparare. Scoprire quali narrazioni avvengono sull’altra sponda, o su lontani altopiani spazzati da un vento che forse, sa di noi più di quanto si possa immaginare. E parla di noi, anche.