Ad inizio film vediamo infatti Mandelli e Biggio nei panni dei coatti Alexio e Patrick, ritrovarsi in sala, con la loro variopinta e variegata tribù di amici, ad assistere alla continuazione delle gesta di Ruggero e Gianluca, padre e figlio in fuga dai criminali russi, così come li avevamo lasciati nel citato primo episodio.
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Teo Teocoli
Inutile anche il ricorso a citazioni cinematografiche stile post-it (da Ghost alle vecchie comiche del muto, passando per Karate Kid e, dolore, Arancia Meccanica), mentre il riferimento alla crisi economica (l’ex manager interpretato da Gianmarco Tognazzi) appare raffazzonato e privo di alcuna coerenza narrativa.E’ proprio quest’ultima, infatti, tra toni auto assolutori, compiaciuti e compiacenti, la principale assenza del film, a meno che non si vogliano considerare cifra stilistica la reiterazione fine a se stessa o la totale assenza dei tempi comici. In definitiva, una farsa irrisolta, la cui volgarità consiste nel non sapere sfruttare, cinematograficamente parlando, né grottesco né il demenziale, cui aggiungere anche la mancanza di una concreta caratterizzazione, tanto dal punto di vista dello sbandierato “politicamente scorretto”, quanto, soprattutto, del linguaggio, mai realmente “alternativo” all’idioma corrente.
Fabrizio Biggio e Francesco Mandelli
Che dire, cari Biggio e Mandelli, se proprio è vostra intenzione continuare a fare gli idioti, confortati da incassi e qualche incensatura intellettuale, allora lasciate perdere i facili proclami, studiatevi le comiche in bianco e nero delle origini, inopportunamente citate, e date poi uno sguardo, attento, anche a nostrane pellicole d’antan, basate, a volte, sullo sfruttamento di una semplice idea estesa casualmente all’onor di sceneggiatura.Qui erano gli attori a fare la differenza, ovviando a limiti di regia e scrittura, sfruttando gli anni di gavetta alle spalle nella sapiente gestione dei tempi comici e con l’umiltà, nel caso della presenza di un coprotagonista, di farsi anche spalla l’uno dell’altro. Allora, forse, si potrà trovare un punto d’incontro tra pubblico, critica e, soprattutto, senso cinematografico da conferire al tutto, perché, state pure tranquilli, il cinema non è ancora morto, come proclamate dall’alto della vostra compiaciuta idiozia (sempre nel significato filmico), nonostante venga continuamente ferito da arroganti operazioni commerciali.