I <3 Bocconi #escile: una prospettiva hegeliana

Creato il 18 gennaio 2016 da Ilbocconianoliberale @ilbocclib

Molti sarebbero tentati dallo spiegare il fenomeno “tette e culi per la tua università” con un noto adagio de “Il cavaliere Oscuro” per incasellare il fenomeno Joker: “Certi uomini (donne in questo caso) vogliono solo vedere bruciare il mondo”. Senza alcun fine, senza alcun motivo apparente: solo per il gusto di attizzare un’umanità varia e a tratti bestiale.
Ma nessuna interpretazione del fenomeno può essere più sbagliata di questa: qui non si tratta di voler vedere bruciare il mondo ma di una tappa fondamentale per pervenire ad una maggiore consapevolezza del ruolo che hanno le università nel formare classe dirigente. Dobbiamo perciò rinunciare alla spiegazione individuale del perché alcune ragazze “le escono”, perché la motivazione è la stessa che spinge altre ragazze “più caste” a pubblicare i loro selfie 15 volte al giorno con altrettanti filtri diversi: la voglia di ricordare agli altri e a se stessi di esistere.
A prima vista il mio potrebbe apparire un discorso paradossale, ma facciamoci aiutare da Hegel per comprendere il fenomeno e riportarlo nell’alveo della razionalità.

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Il mantra (il frame per usare un gergo più tecnico) che si va ripetendo, soprattutto nella nostra università, è il seguente: la vita è un percorso lineare. Se ti impegni prenderai bei voti. Se prendi bei voti avrai un buon lavoro. Se avrai un buon lavoro sarai felice. Questo è quello che ogni bocconiano si sente ripetere dal primo giorno in Università. Sia chiaro, se fosse vero che la vita è un percorso lineare il resto del problema sarebbe, almeno in una buona parte, vero. Questo modo di intendere la vita si riflette poi in un istinto di repulsione verso le novità che non siano accettate dalla maggioranza, e nell’incapacità di fare scelte coraggiose e di rottura. Chi bazzica l’ambiente associativo sa benissimo quanto la nostra Università sia ossessionata dalla sua immagine e come si prodighi costantemente per bloccare qualsiasi iniziativa che possa infastidire qualcuno. E questo è una variante della mentalità precedente: università fa solo cose nel mainstream, perciò non infastidirà nessuno, perciò la sua reputazione migliorerà. Ma questo non è assolutamente in linea con quello che dovrebbe essere un’università, come ho scritto qui: è solo un tentativo di mediare in quello che è uno scontro tra fazioni non ben identificate e questo non ha ovviamente nulla a che fare con la volontà di espandere la nostra conoscenza e di formare classe dirigente (che è fatta di persone con una visione indipendente rispetto a quella proposta dai vari editorialisti dei quotidiani). Questo ci introduce al fatto che molti interpretano il fenomeno “tette” nel senso “come è caduta in basso la nostra università”. Questi sono quelli che più hanno interiorizzato il discorso della nostra università, per cui, coerentemente, associare il nome Bocconi ad un paio di tette è al limite del sacrilego perché fuori da quello che è il branding pulito e rassicurante che viene proposto. E questa è la nostra tesi, in senso hegeliano.

L’antitesi è la comparsa del fenomeno tette: un paio di tette non è rassicurante e rompe lo schema precedente. Lo dimostra il fatto che la gente si spacca immediatamente in due fazioni che possiamo chiamare per comodità “allupati” e “bigotti”.
Le tette dividono, creano discussione e alimentano una gara a chi fa la battuta più divertente. Tutto questo urta la sensibilità di alcuni ed esalta la creatività di altri, in una spirale che termina per esaurimento più che per superamento.

Ma se questo articolo si propone di fare un’opera di interpretazione di stampo hegeliano, il suo compito è anche quello di preparare il terreno per il superamento di tesi e antitesi cosicché si pervenga alla sintesi vera e propria. Se la tesi è un’impostazione chiusa e bigotta rispetto alla vita e alla realtà, mentre l’antitesi è la negazione di questo per una spensierata distruzione di ogni ordine prestabilito, la sintesi deve essere, per usare un linguaggio più friendly, un mix di entrambe. E allora ecco che il fenomeno tette ci ricorda che dobbiamo prenderci un po’ meno sul serio e soprattutto che la consapevolezza di sé stessi e l’accumulazione della conoscenza non seguono sempre un percorso lineare. Quando la cappa di perbenismo e bigottismo (che in alcuni momenti possono svolgere un ruolo inconsciamente salvifico) diventa insopportabile si creano naturalmente le condizioni per la rottura. E rispetto a quello che è l’establishment di questo paese una rottura è necessaria ed è doveroso che arrivi proprio da quelle università che si propongono, per ragioni storiche, di sfornare classe dirigente.
Su una cosa, infatti, possiamo stare assolutamente tranquilli: se la classe dirigente del futuro sarà peggiore di quella attuale, non lo sarà perché ci sono gli allupati e le tipe che “escono” le tette.

Nicolò Bragazza