Nel dossier di marzo di Nigrizia, il noto mensile dei comboniani di Verona, mi è capitato, giorni fa, di soffermarmi a leggere con particolare goduria l’articolo di Francesco Grasselli,che racconta la nascita, e quindi quelli che sono stati gli inizi, timidi e coraggiosi ad un tempo, della piccola editrice missionaria italiana (l’EMI), oggi in realtà un’editrice di tutto rispetto nel mercato librario italiano e non solo.
Il racconto di Grasselli parte nostalgicamente dalla sistemazione del primissimo ufficio, sito alle pendici del colle della Guardia, prospiciente la campagna bolognese, in cui pervenivano numerosi manoscritti di missionari operanti in ogni angolo del pianeta.
E dove, con certosina pazienza, quattro persone di buona volontà (padre Ottavio, Roberta l’addetta alla contabilità,Giovanna l’addetta alle vendite, e lo stesso Grasselli), dissotterandoli dagli strati polverosi del disordine imperante nell’ambiente, si davano un grande da fare per realizzare il “miracolo”.
E miracolo, a conti fatti, è quello che realmente è stato poi.
Ma la stoffa buona, a essere sinceri, c’era fino dagli esordi, per chi avesse buona vista e un olfatto fine (si fa per dire).
Difficile era, piuttosto, il non accorgersene.
Si trattava certo di una sfida , quella dei primi anni ’70 appunto, quando sull’onda lunga del contestatario 68’, molti giovani, ma non solo i giovani, cominciavano ad interessarsi fattivamente a realtà lontane e complesse, di cui, da noi, si conosceva poco o niente.
E che il mondo missionario, semmai, aveva il privilegio di vivere e ,quindi,conoscere di prima mano.
E c’era comunque nell’aria da parte di tutti, o almeno quasi tutti, anche tanta sete di sapere e , perché no, tanto desiderio di andare.
E, fino dalle prime pubblicazioni ,dopo un buon serio rodaggio (grazie a grossi nomi come Raoul Follereau, l’Abbé Pierre, Hélder Camara), anche il mondo accademico, quello degli etnologi di professione per intenderci, pare prendesse addirittura a scomodarsi per raggiungere il colle, ficcare il naso nelle carte e cercare di saperne qualcosa di più.
Noi lettori, ignari di tutto ciò, ricevevamo invece il “prodotto finito”, cioè il libro (è stato così un po’ per tutti agli esordi dell’editrice), in genere tramite amici come, ad esempio, i medici impegnati nel lavoro sul campo accanto ai missionari.
Oppure direttamente da qualche missionario conoscente, che credeva nel lavoro di quegli instancabili e tenaci confratelli, diffusori della “buona” stampa missionaria.
A implementare le differenti collane editoriali, che gradualmente assumevano una loro fisionomia specifica, concorrevano, e ancora attualmente concorrono, a casa nostra, le note storiche congregazioni missionarie dei Comboniani, del Pime, dei Saveriani e dei Missionari della Consolata.
Man mano si sono inserite poi altre famiglie missionarie. Maschili e femminili. Ciascuna con il proprio apporto.
Per me (e non penso affatto d’essere o di essere stata l’unica) leggere nell’articolo di Grasselli i nomi di un Piero Gheddo, di un Giorgio Torelli e di un John Bonzanino (il primo volumetto EMI che ho ricevuto e letto è stato il suo”Cittadini d’Africa”) è stato come un “ritrovare” degli amici.
Degli amici molto “speciali” E, con essi, è bastato un attimo, appunto, per riportare improvvisamente alla memoria tante altre presenze, non citate, ma diciamo pure della stessa “cordata”.
E poi lanciare spontaneamente, con un pizzico di nostalgia, uno sguardo ai ripiani della libreria del mio studio, dove le dorsali dei loro libri, dei libri di questi amici, fanno ancora mostra di sé.
Ogni libro, infatti, è stato un incontro. E, spesso, non solo attraverso la carta stampata.
In seguito, negli anni ’80, frequentando incontri, settimane diocesane e convegni missionari , l’appuntamento con lo stand dell’EMI, allestito per l’occasione, era un rito cui ormai non ci si poteva più sottrarre .Ed io, di fatto, non mi sottraevo.
Ricordo, in particolare, padre Claudio Marano,un saveriano, libraio straordinario per l’occasione, che sapeva sempre darti il consiglio giusto nella scelta del libro e che, quando era ancora in Italia, ti dava volentieri la sua consulenza anche telefonicamente da una città ad un’altra.
Con il trascorrere degli anni anche la sede dell’EMI cambiava di luogo in luogo.
E nomi carismatici si aggiungevano sempre più numerosi alla ormai “carovana” come quelli di Alex Zanotelli, di Giulio Battistella ,di Frei Betto, di Meo Elia), personalità semplici, schiette, preparate e coinvolgenti.
Ricordo ancora padre Meo Elia alla mensa di Barzio, durante un pranzo in occasione della settimana degli incontri del Centri Missionari Diocesani dell’Italia Settentrionale (Piemonte,Lombardia, Liguria e Veneto) cordialissimo e pronto a suggerirmi come impostare un lavoro giornalistico, portandomi degli esempi personali, tratti dal suo lavoro.
Ma, a prescindere dalle conoscenze dirette o meno, non posso, almeno io, dimenticare l’apporto formativo che, per esempio, mi hanno dato i famosi “Quaderni Emi-Sud”,testimonianze di missionari dal campo (Africa, Asia,America Latina), che tanto hanno contribuito a formarmi in quegli anni e, soprattutto, a informarmi sull’operato della Chiesa nel mondo.
E che rimpiango per la loro validità, perché oggi non hanno più un seguito di stampa e di diffusione. Che ,invece, mi piacerebbe avessero e avessero avuto.
Attualmente molti titoli riguardano l’economia e lo sviluppo sostenibile .Rispecchiano, infatti, l’attualità del momento. I nostri tempi. Gli interessi della odierna gioventù.
E lo testimonia il grande e meritato successo, ad esempio, di “Guida al consumo critico” di Francuccio Gesualdi. E così di altri titoli analoghi.
E non mancano, manco a dirlo, le cosiddette favole dai differenti continenti che, dopo 40 anni di percorso assieme all’EMI, con qualche capello grigio o bianco di troppo ,noi ci si può permettere di leggere in tutta piacevolezza ai nostri nipotini.
E, soprattutto (sincerità lo impone) senza tacere loro che, in altri tempi, pur di fantasticare su mondi lontani, alla maniera di Salgari, le abbiamo saccheggiate anche noi.
E ora si passi il testimone.
Marianna Micheluzzi (Ukundimana)