I 5 passi nel mistero del Colle

Creato il 11 febbraio 2014 da Albertocapece

Anna Lombroso per il Simplicissimus

«Chi ai nostri giorni voglia combattere la menzogna e l’ignoranza e scrivere la verità, deve superare almeno cinque difficoltà. Deve avere il coraggio di scrivere la verità, benché essa venga ovunque soffocata; l’accortezza di riconoscerla, benché venga ovunque travisata; l’arte di renderla maneggevole come un’arma; l’avvedutezza di saper scegliere coloro nelle cui mani essa diventa efficace; l’astuzia di divulgarla fra questi ultimi.

Se le difficoltà di scrivere la verità sotto il fascismo erano grandi, appunto quelle descritte da  Brecht nel 1935, lo sono altrettanto, anzi di più, oggi in democrazia, sia pure apparente, che a quasi tutti pare un regime in cui domina la verità, almeno quella possibile su questa terra e nell’egemonia della rete, che trasmette una percezione, fittizia, di trasparenza.

Da due giorni la politica e l’informazioni si agitano inconsultamente intorno a sorprendenti rivelazioni di eventi noti o presumibili, per normali cittadini avveduti, per blogger felici e sconosciuti, cui non era certo sfuggito che nell’estate del 2011 dopo la Caporetto della politica, la corrispondenza con i boia carolingi, la necessità di trovare qualcuno che si facesse esecutore dei loro ordini magari in versione bilingue e velocemente per mettere le basi del definitivo commissariamento, grazie alla rinuncia alla sovranità, l’opportunità di corrispondere alle aspettative europee di riduzione della democrazia in nome della necessità per fare dell’austerità e della rinuncia a diritti e garanzie, non uno strumento o una fase temporanea ma una condizione irrinunciabile e perenne,  insomma chiunque aveva compreso che chi si era collocato in testa la corona di re in nome dell’imperatore, stava cercando un console, possibilmente “tecnico”, possibilmente aduso all’ossequienza a certi poteri, possibilmente sobrio, possibilmente editorialista del Corriere, possibilmente abbigliato in loden e non in doppiopetto di Caraceni, possibilmente dotato di famiglia convenzionale e costumi morigerati e frugali, possibilmente equipaggiato di intelligenza limitata e oratoria letargica. Passare dall’identikit al personaggio, già frequentemente tirato in ballo ogni volta che serviva una scopa per ballare, è stato tutt’uno e tutti lo avevano capito, anche prima che venisse nominato senatore come succede qualche volta nella storia a cavalli e animali di varie genere.

Modestamente questo blog lo rilevò non pensando di rivelarlo, altrettanto modestamente da due giorni offre le sue considerazioni sui retroscena del caso clamoroso innescato dalla pubblicazione a orologeria di un agile volumetto che ha tutte le fattezze di una marchetta affidata a un giornalista che parla come Stanlio e Ollio e che dovrebbe rappresentare le qualità di credibilità e autorevolezza della tradizione anglosassone.

Dopo il primo smarrimento commentatori, giornalisti, editori di quelli che continuano a ritenersi inviolabili, fanno a gara per dire almeno 5 cose, proprio come Brecht: lo sapevo, lo sapevo ma non c’è nulla di illegittimo, lo sapevo ma non c’era altro da fare, lo sapevo ma la situazione era così delicata che renderlo pubblico avrebbe sollevato polvere e fumo, lo sapevo, ma sono un giornalista, mica avevo l’obbligo di informarne i cittadini”. Proprio per questo “rivelare” sia pure tardivamente qualcosa che era sotto gli occhi di tutti, diventa un’operazione squallida, architettata ad arte, un complotto ai danni della democrazia, una artata demolizione della figura più rappresentativa del paese.

E qualcosa di squallido c’è eccome: un uomo grigio ma vanesio, per consolidare la sua candidatura va a spifferare i fatti nostri in giro, un finanziere affarista spera di farci su qualche affaruccio, un politico estromesso si sente rinvigorire se diventa depositario di rumors e confidenze, un presidente si nomina amministratore delegato e va in giro a fare, sia pure su ordinazione, selezione del personale, in attesa di farsi re, un vecchio malfattore muove pedine per ricattare e poi per vendicarsi. E poi un ceto giornalistico, restio a autodefinirsi casta, nasconde dietro alla sorpresa per il complotto la dimissione dal suo compito, la rinuncia a indagare e informare, l’abdicazione alla responsabilità e agli obblighi deontologici, cui ha preferito l’affiliazione, la fidelizzazione, l’ammissione ai salotti del potere, per trasmettere all’esterno solo quei segmenti concessi e suggeriti di “verità”.

Ma il peggio è che dietro al “fumo”, una macchina c’è e non è del fango, ma la macchina da guerra di un regime sovranazionale, che gioca con le democrazie e con i popoli come pedine da muovere per il suo rafforzamento onnipotente, per appagare la sua avidità inestinguibile e che se la ride di noi, dei nostri re Travicello, dei suoi nipoti, dei suoi cavalli, dei tradimenti e dei veleni, che tanto ad essere intossicati siamo noi.