Il disoccupato, diciamocelo, è un tipo ansiogeno.
E anche se non lo è, poveraccio, lo diventa in fretta. Tanta è infatti l’incertezza del futuro che non può sottrarsi in alcun modo alla sindrome di “disoccupazione ansiogena” che colpisce con durezza soprattutto la sua categoria.
Non dico che gli “altri”, quelli che dall’alto del loro introito mensile sicuro osservano la quotidiana disoccupazione commentando “Devi stare tranquillo prima o poi ti sistemerai”(come già nonne e zie ansiogene facevano nei bei tempi in cui il “problema” era che non ti eri ancora sposato/a) oppure che crollano le spalle davanti alle tue ansie dicendo che “i problemi ce li abbiamo tutti”, non abbiano le loro ansie.
Sto dicendo che noi poveracci disoccupati nelle ansie dell’era post-occupazionale ci ritroviamo dentro come nelle sabbie mobili: infide, e pronte a non lasciarci andare. Mai più.
Si perchè dubito proprio che chi abbia provato a vivere costantemente con una di queste ansie, una volta “fuori”, o una volta raggiunto un minimo di stabilità che gli permetta non tanto di darsi alla bella vita quanto a tirare il fiato, cadrà mai nella tentazione di darsi effettivamente alla bella vita, o tirare il fiato. Anzi, ho come il sospetto che, come io mi sono disabituata a togliermi certi sfizi senza neanche pensarci, a contare ogni centesimo, a pianificare in maniera ossessiva spese e impegni pecuniari, tutti quanti abbiamo imparato piuttosto a convivere con “la sindrome” e a trasformarci in formichine invece che in cicale: a mettere via per sicurezza piuttosto che a spendere.
Alla faccia dell’economia che ristagna.
Si perchè andiamo: con che coraggio una persona che si è tormentata ossessivamente per mesi, anni addirittura, con queste ansie, e si è ritrovata a farci i conti dall’oggi al domani senza poterlo prevedere, o senza potercisi preparare, tornerà mai ad avere talmente tanta fiducia nel futuro da… fregarsene?
No no, sono convinta che la maggior parte di noi si siano trasformati in moderni Paperon de Paperoni, con però solo pochi spiccioli nel forziere.
Ma vediamo queste ansie patogene del disoccupato, che spesso “ama” collezionarne di diverse, non pago di accontentarsi di una o due ma puntando all’en plein come se si vincesse un pasto gratis ogni due alla Caritas, quali e quante sono?
1. Ansia da “oddio e adesso dove lo trovo un lavoro”
Vabeh, giocoforza, è la più classica di tutte e quella da cui nascono tutte le altre. La prima che ti coglie, con la fase critica nei primi mesi in cui ti colpisce la disoccupazione.
Poi passa, e il disoccupato si “dimentica” che st acercando lavoro ma non sa dove trovarlo. E passa alle altre ansie.
2. Ansia da “oddio come faccio a pagare la rata del mutuo/affitto/macchina/asilo/___”
la Grande Ansia, quella che ruota sotto il piccolo grande Problema con la P maiuscola: i soldi. I soldi diventano un’ossessione, e chi ti dice di non esserne ossessionato è perchè bene o male ne ha. Per pagare le pendenze fiscali i vizi e gli stravizi così come le necessità di ogni giorno, ne ha.
Io ho deciso che non ascolto più le persone così. Quelle che ti dicono “ma si, sono i tempi di adesso, ce n’è di meno per tutti”. Ho deciso che appena sento una str..ata del genere mi giro e me ne vado a fare qualcosa di più utile. Ma senza nemmeno chiedere scusa eh.
Tanto capra io capra tu, che mi tenti di rifilare queste scontatezze.
3. Ansia da “oddio cosa metto in tavola domani per me e i miei figli/marito/gatto/___”
Corollario di quello appena sopra: una volta appagate le necessità primarie di mantenersi una casa, un tetto sopra la testa, e un minimo di vita dignitosa per sè e la famiglia, scatta (o si appaia) il problema del sostentamento fisico: il mangiare.
Quest’ansia non ci abbandonerà mai per tutto il percorso della disoccupazione, ma neanche dopo: se tanto mi dà tanto saremo, da vecchi, come i nostri nonni che hanno vissuto la guerra. Avremo sempre fame, finchè ce ne sarà.
4. Ansia da “oddio sembro un/a barbone/a: si accorgeranno che sono secoli che non mi compro qualcosa di nuovo?”
Questa tipologia di ansia non colpisce tutti (per fortuna c’è anche chi a un bello strato di pelo sullo stomaco e ha il coraggio di infischiarsene alla grande dell giudizio altrui) ma è forse la tipologia più insidiosa: chi ne soffre comincia a mettersi in dubbio dall’esteriore, per poi scavare fino ad arrivare a distruggere il proprio interiore. Il tutto per nulla, per la pura apparenza, per soddisfare le leggi del consumismo che ci vorrebbero veder fare un cambio armadio completo a ogni stagione (magari anche due) per apparire “di successo”, “al passo coi tempi”, “sul pezzo”, etc.
5. Ansia da “oddio, non c’è limite al peggio: che altro mi succederà?”
Questa ansia colpisce non fa prigionieri, ti prende e ti colora di nero il futuro, e anche il presente, e non lascia scampo. Cominci a entrare in un loop di disperazione e umor nero, in cui ti chiedi ossessivamente “cosa ho fatto di male per meritare questo” e “ma perchè capitano tutte a me”, “non c’è limite al peggio” e altre amenità varie.
Si manifesta con vittimismo a mille, e ansia per il futuro che, per noi, non può che riservare cose peggiori di quelle che ci ha servito il passato e che viviamo nel presente.
Certo, ogni piccola sconfitta, ogni contrattempo, ogni maledetto guaio che ci capita diventa una catastrofe, non tanto perchè amiamo piangerci addosso, ma perchè con le risorse ridotte all’osso di cui disponiamo (soldi, pazienza, ottimismo, etc.) non riusciamo, semplicemente NON RIUSCIAMO a farci fronte. O a tirarcene fuori.
Ogni ondata avversa ci sommerge, con il rischio di non riuscire a emergere più.
E no, non ci sono risposte a quelle domande (cosa ho fatto di male, ma perchè a me). E questa è forse la cosa che più ci spaventa: nessun salvagente lanciato in quelle acque nere, non dico a salvarci, ma nemmeno a tenerci a galla.
E voi, esponenti e amici della “Lega AnsIatica”(come la chiamo io) cosa mi dite? Familiari con questi tipi di ansie o me ne sono (tristemente) dimenticata qualcuna?